Luca Pavanel
Leonardo e la musica: un mistero, o quasi. Forse l'aspetto meno esplorato del genio del Rinascimento italiano. Eppure, l'uomo-artista e scienziato non solo sapeva suonare e conosceva come funzionavano i mezzi musicali del suo tempo così riportano alcune testimonianze storiche ma ha anche immaginato e disegnato e qualche volta «progettato» veri e propri strumenti. Già, proprio così.
La testimonianza tangibile in questi giorni è al Teatro Elfo Puccini, dove fino a sabato - per i 500 anni dalla morte del genio - c'è «Leonardo, i leonardeschi e gli angeli musicanti»: esposizione nella quale si trovano anche alcuni strumenti realizzati a partire proprio dai disegni del da Vinci (gli schizzi del foglio 76r compreso nel II Codice di Madrid) e da affreschi. Dietro all'operazione il fondamentale lavoro di un personaggio che di strumenti di ogni tipo e forma se ne intende parecchio, il maestro d'arte Michele Sangineto, che da circa quarant'anni costruisce, ricostruisce e modifica, mosso dal desiderio di «rendere tangibile gli aspetti disegnativi o teorici» di un progetto, così come lui stesso afferma. Ed ecco spuntare dalle sue ricerche e realizzazioni i prototipi leonardeschi che ora sono esposti nell'Atelier del teatro in corso Buenos Aires. Così il maestro Sangineto li racconta, a uno a uno, a partire dall'«Organo di carta». «È uno strumento inconsueto - attacca - Ma faccio una premessa. Leonardo, in fondo, non ha inventato nulla, ha preso degli strumenti già esistenti stravolgendoli, magari utilizzando la stessa meccanica». Come in questo caso, «infatti esisteva l'Organo portativo - continua - che veniva usato dai viandanti che all'epoca girovagavano e là dove si fermavano raccontavano le loro storie, come i trovatori e i menestrelli». Con loro avevano lo strumento con tastiera orizzontale, come quella del piano. «Da Vinci invece la progettò verticale - continua -, più leggera perché pure di carta, più facile da utilizzare». Così probabilmente è nato l'antenato della fisarmonica. Che lo scienziato però non ha mai costruito, stesso discorso per le altre idee: tutto rimasto a livello di disegni, schizzi e abbozzi. E ancora, un'altra diavoleria musical-leonardesca.
«La Piva a vento continuo viene dalla zampogna. Al posto della sacca sono stati messi dei mantici per soffiare nel flauto, così che il musicista oltre a suonare poteva cantare», spiega. La ricostruzione della «Viola organistica» è il modello che ha richiesto più tempo. Da questa idea si capisce che da Vinci conosceva bene pure la famiglia degli archi, di cui la sua «Viola» in qualche modo mantiene le sembianze. «Progettò uno strumento con cui si potesse fare accordi completi, per questo mise una tastiera», dice il costruttore; cosa che ovviamente non è possibile con un violino, per esempio, col quale al massimo si fanno i bicordi (due note contemporaneamente, ndr). Dulcis in fundo la «Lira da braccio»: di questo mezzo musicale non è stata rinvenuta un'immagine, ma solo tracce in un codice che si trova a Parigi. La «Lira viene raccontata dallo storico Giorgio Vasari», uno strumento un po' in argento, nelle corde, e un po' a testa di cavallo. Visioni e misteri. «Non si sa da dove Leonardo abbia attinto per questi schizzi - conclude Michele Sangineto -.
Dall'Oriente forse gli sono arrivate alcune idee, delle cose da studiare, degli spunti portati dai viaggiatori del suo tempo».Un'esposizione rara che continuerà a girare l'Italia, resa possibile a Milano grazie anche alla regista Elena Russo Arman che all'Elfo Puccini dal 2 al 5 maggio porta lo spettacolo «Leonardo, che genio!».
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