Una folla di 150 persone aspetta paziente - più o meno - davanti all'aula al quarto piano del tribunale. È in corso una nuova udienza del processo che vede tra gli imputati anche il presidente della Provincia Guido Podestà, accusato di aver partecipato - in qualità di coordinatore lombardo del Pdl - alla falsificazione delle firme raccolte nel 2010 a favore del listino Formigoni per le elezioni regionali. Centocinquata testimoni, solo una piccola parte degli oltre 700 chiamati in aula. Di fatto, a ripetere quanto già messo a verbale davanti al procuratore aggiunto Alfredo Robledo nel corso delle indagini.
E si tratta di testimonianze-lampo. Un minuto a testa. Giusto il tempo di fornire le generalità al giudice, di ripetere la formula di rito («giuro di dire la verità...»), e di rispondere a una domanda: «La firma è sua?». «No». Nulla di nuovo rispetto a quanto già scoperto mesi fa, e allora perché ripeterlo? La Procura aveva proposto di acquisire i verbali delle testimonianze, ma le difese si sono opposte. I motivi li spiega uno dei legali degli imputati, l'avvocato Gaetano Pecorella. «Le prove si formano in aula, e non è solo un modo di dire. Alcune testimonianze erano chiare, altre lo sono meno. Era giusto approfondire.
A metà mattinata, il giudice concede una pausa di dieci minuti. I testimoni fuori dall'aula non ci stanno. «Vergogna!», gridida qualcuno. Da ore aspettano il loro turno. Per una tesatimonianza di un minuto.
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