"Jesus Christ Superstar mi ha portato bene Ma volevo fare Giuda"

Il protagonista del celebre musical, in scena a 75 anni: «Ecco i perché di quel successo»

"Jesus Christ Superstar mi ha portato bene Ma volevo fare Giuda"

Ci sono ruoli che non invecchiano, e uomini che del tempo possono farsi scalfire sulla pelle, non nello spirito. Il Gesù di Jesus Christ Superstar e Ted Neeley, il suo storico interprete nel film del 1973 e in tanti spettacoli teatrali dal vivo a Broadway e nel mondo, appartengono a questa specie. «Il merito è della musica, solo di quella musica meravigliosa», si schermisce l'attore e cantante texano, ma chi conosce quel film e chi ha avuto la fortuna di sentire il suo urlo di dolore nel giardino del Getsemani anche solo per una volta, sa che non è solo la musica di Andrew Lloyd Webber, il compositore di Jesus Christ Superstar, a rendere Ted Neeley ciò che è. Il rito di Jcs - come l'opera rock è chiamata dai fan si ripete fino al 2 dicembre al Teatro degli Arcimboldi per la regia di Massimo Romeo Piparo,, con un cast rinnovato nei ruoli principali di Giuda (il brasiliano Nick Maia), Pilato (Andrea Di Persio) e Simone (Giorgio Adamo) mentre Maria Maddalena avrà ancora il volto di Simona Distefano e il veterano Paride Acacia (già impeccabile Gesù) vestirà gli odiosi panni del serpentesco sacerdote Annas.

Mister Neeley, ogni tanto ci pensa a quale gioco del destino l'ha portata in questo ruolo leggendario?

«Certo. Dico sempre di essere un uomo fortunato, ho una splendida famiglia e sono stato scelto dal regista Norman Jewison, il regista del film, per una serie di casi speciali».

Ce ne dice qualcuno?

«Bè, uno fondamentale è questo: io e Carl Anderson, il Giuda nero del film, eravamo amici da molto tempo prima di sostenere i provini per il film. Lui era un cantante jazz, io suonavo in una rock band. In giro per l'America ci incrociavamo e abbiamo stretto un legame speciale. Jewison notò immediatamente questa alchimia, e ci scelse per i ruoli».

E lei avrebbe voluto interpretare Giuda.

«Esatto. Mi piacevano molto le canzoni che spettavano a quel personaggio. Ma, evidentemente, il destino voleva che fossi Gesù».

Qual è il segreto di un musical come «Jesus Christ Superstar»?

«La storia, meravigliosa. Qualcosa capace di toccare qualsiasi tipo di pubblico, non necessariamente credente. Poi la musica e, se posso dire, il tipo di esecuzione di quella musica: l'idea di tenere la band sul palco, in mezzo alla scena e agli attori, ti fa sentire come in un concerto rock. Per me, ogni volta, è come tornare alle origini. Mi siederei sul seggiolino della batteria».

Sì perché lei nasce batterista: suona ancora quello strumento?

«Quando posso sì, è liberatorio».

Il successo e il mondo dello spettacolo sembrano non averla cambiata di una virgola: è sempre stato così saggio o da giovane era più impulsivo?

«Sono sempre stato grato a ciò che la vita mi ha dato. Sul set del film conobbi mia moglie.

Era una delle ballerine. Ho una famiglia stupenda, una figlia e un figlio. A fine show amo incontrare il pubblico, scambiare qualche battuta con loro. Apprezzare la diversità della gente mi ha sempre migliorato come persona».

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