L'appello di Scola ai giovani: «Cercate il senso della vita»

Sei militari in ciascuna delle porte d'ingresso, metal detector in funzione, controlli nelle borse: ma sono le misure di sicurezza di sempre, spiega uno di loro. Nella seconda domenica dopo gli attentati di Parigi in Duomo - indicato come uno degli obiettivi sensibili di possibili azioni terroriste - non è la paura il sentimento predominante. Tra la folla che riempie i due terzi dei banchi, venuta per ascoltare le parole del cardinale Angelo Scola, serpeggia un desiderio di normalità. Anche se l'eco di quell'orrore è ancora viva, richeggia nell'omelia dell'Arcivescovo - «le recenti ferite di Parigi e del Mali, senza dimenticare quelle del Medioriente, non cessano di sanguinare» - che sottolinea come «il compito di costruire la pace dipende da ciascuno di noi, passa nei corpi intermedi della società e raggiunge le Nazioni». Per costruire la pace, prosegue il cardinale, non basta più il richiamo ai valori, slegato dagli eventi storici. Serve di più: «Abbandonare le nostre eccessive sicurezze e assumere le nostre responsabilità nei confronti di violenze e della guerra». Un invito alla riflessione autocritica durante il quale Angelo Scola si rivolge poi direttamente ai giovani, lanciando quello che suona come un appello: «È necessaria una ricerca di senso. Dai fatti di questi giorni sgorga una domanda: com'è possibile che giovani nati in Europa, che hanno studiato e lavorato in Europa, non abbiano incontrato alcun senso della vita, se non quello di gettar via la propria, trascinando con sé tante vittime?». È su questo che gli europei, specie i giovani, devono riflettere. E di under 30 in Duomo ce n'erano più di quanti ci si possa aspettare.Come Yolanda, che si è trasferita a Milano da qualche mese da un'altra città lombarda: «Vado in chiesa ogni domenica, non in Duomo, però: in genere frequento la parrocchia vicino casa, ma oggi sono qui perché ero in giro con degli amici. Alcuni di loro, scherzando, mi hanno detto di non andare in Duomo, c'è il rischio attentati, e io ho risposto che se deve succedermi qualcosa preferisco che sia in Duomo anziché in ufficio! Battute a parte, non ho particolari timori: la verità è che può succedere ovunque, ma non per questo dobbiamo smettere di vivere». La libertà, è il senso delle parole pronunciate dal porporato, non consiste però solo nel poter scegliere cosa fare delle proprie vite, nell'uscire la sera o ascoltare la musica che si preferisce.Come si fa a ricercare il senso, a spiegarsi il fatto che giovani coetanei, cresciuti in Paesi europei, e quindi almeno in apparenza denrto questa libertà, siano diventati terroristi? «Noi siamo fortunati perché studiamo in una scuola cattolica e abbiamo ricevuto un'educazione, una guida», dicono Michele, Andrea, Francesco e Sofia, 17enni del Sacro Cuore, a Lambrate. «Possiamo rispondere a questa domanda e a quella ricerca del senso solo testimoniando, noi per primi siamo chiamati a testimoniare, anche quando esercitiamo le libertà occidentali come andare a bere una birra».La birretta della domenica è proprio quello che li aspetta dopo la messa in Duomo, prima di cominciare un'altra settimana tra i banchi.

Possibile che la povertà di chi è cresciuto nelle periferie abbia inciso nella scelta verso il terrorimo? «Certo molti di loro forse non hanno avuto la guida che abbiamo noi, ma in chiesa ci possono entrare tutti, anche i poveri», risponde sicuro uno di loro.

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