Quella di Giovanni è una storia divisa in due. C'è un prima e c'è un dopo. Prima, è una vita passata nell'illegalità. Dopo, è un lavoro con cui far rispettare la legge. In comune, le due vite, hanno una cosa: un'arma. Quella che Giovanni impugnava per rubare, e che poi ha chiesto di poter utilizzare per svolgere la sua nuova professione: la guardia giurata.
E la storia di Giovanni C. passa anche attraverso una sentenza dal tribunale amministrativo, a cui l'uomo si era rivolto dopo che il prefetto ne aveva rigettato la richiesta di rilascio del porto d'armi avanzata proprio per poter svolgere l'attività di vigilante. In effetti, il prefetto aveva negato il permesso motivandolo con il pedigree criinale dell'uomo, già condannato e incarcerato «per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione. Insomma, Giovanni C. non era esattamente uno stinco di santo. ma è proprio questo il punto. Era. Le tre condanne subite, infatti, risalgono al 1979, al 1980 e al 1981. insomma, oltre trent'anni fa. Nel 1992, inoltre, l'uomo ha ottenuto la riabilitazione, istituto giuridico che restituisce al condannato quei diritti che la sentenza gli ha sottratto atraverso le pene accessorie.
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