«Fra la macchina fotografica e la modella c'è uno spazio emotivo», Peter Lindbergh ne era convinto e nei suoi scatti si avverte, anche per questo era tanto diverso dagli altri fotografi. Nato e cresciuto nella Germania industriale, fu il primo a stravolgere l'estetica della fotografia di moda, prima di lui patinata e artificiosa.
Si narra che nel 1988 Vogue America rifiutò le foto in bianco e nero: ritraevano Linda Evangelista, Christy Turlinghton, Tatiana Patitz e le altre in camicia sulla spiaggia di Santa Monica. Erano troppo vere. Quattro anni dopo le pubblicò Anna Wintour e la sua «rivoluzione» fece scuola. Lindbergh, scomparso lo scorso settembre a Parigi è considerato uno dei più grandi fotografi contemporanei, e non solo di moda. Ora Giorgio Armani gli rende omaggio con «Heimat. A Sense of belonging», mostra che ha curato in collaborazione con la Fondazione Lindbergh, inaugurata all'Armani/Silos (fino al 2 agosto).
«C'è un universo negli occhi di un fotografo, nella sua capacità di capire e unire persone ed esperienze, che può cambiare il nostro sguardo sulle cose», scrive Armani, che con il fotografo ha collaborato e condiviso estetica e valori. «Le foto cinematografiche di Lindbergh hanno un modo inconfondibile e inaspettato di fondere raffinatezza e spontaneità che le rende indimenticabili. Con questa mostra voglio rendere omaggio a un compagno di lavoro meraviglioso il cui amore per la bellezza rappresenta un contributo indelebile per la nostra cultura, non soltanto per la moda». Ecco un racconto in 3 capitoli e 70 opere. L'incipit si intitola «La nuda verità» e ci parla di una bellezza che si nasconde nelle imperfezioni, come la cicatrice sul corpo di Nadja Auerman, o il trucco sfatto e le rughe sul volto di Jeanne Moreau. «Se fossi cresciuto in un altro posto la mia visione e la mia estetica sarebbero state diverse», racconta il fotografo riferendosi a Duisburg, la sua città, dove il cielo plumbeo sovrasta fabbriche e cemento. Questa è la sua Heimat, il suo «luogo del cuore», qui nasce il senso di cruda bellezza che connota il suo lavoro. Nel secondo capitolo, «Heimat», l'ambiente industriale è protagonista, come in quell'immagine che ritrae Linda Evangelista e altre top insieme a giganteschi macchinari.
Non era tanto la moda, ma le donne come individui a interessargli, anche quando scattava per le riviste più importanti del mondo con le top (sempre le stesse) più famose, o per il Calendario Pirelli (ne fece 3 memorabili edizioni, più una con Demarchelier). Ecco allora l'ultimo capitolo, «L'eroina Moderna» con immagini schiette, crude, che rivelano la personalità delle sue eroine.
Cindy Crawford e le altre a fine '80, o gli scatti più recenti che ritraggono anima e corpo di Kate Winslet, Kate Blanchett, Kate Moss. Tutte bellezze senza tempo e senza ritocchi (ai quali era assolutamente contrario) che dimostrano come Lindbergh comprendesse davvero la femminilità.
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