Correva l'anno 1963, debuttavano i Nomadi, gruppo che nel 2023 soffierà sulle 60 candeline dell'attività musicale, dopo migliaia di concerti fatti, dolori, cambi, fasi e avvicendamenti («oltre 80 dischi con centinaia di brani). La formazione resiste più che mai, e non se ne parla di lasciare: ride al solo sentirlo dire il tastierista Giuseppe Carletti detto «Beppe», classe 1946, cofondatore della band, insieme al compianto Augusto Daolio.
Beppe e i suoi si preparano a un'altra data (lunedì sera dalle 21 al Teatro Lirico) del loro tour, partito a 30 anni dall'uscita dell'album «Ma che film la vita», una tournèe ricordando un periodo spartiacque della loro «storia infinita».
Beppe Carletti, i Nomadi insieme ai Pooh probabilmente il gruppo italiano tra i più longevi: qual è il segreto?
«Uno dei nostri segreti è la coerenza, poi il fatto di essere sempre rimasti coi piedi per terra. Non ci siamo mai montati la testa».
Ma quante trasformazioni però. Come è cambiato, se è cambiato, il vostro modo di fare musica?
«Con le sue trasformazioni il gruppo si è tenuto al passo con i tempi, senza però stravolgere il suo, il nostro essere; per dire che Io vagabondo la suono come tanti anni fa. Se a ogni stagione avessimo cambiato genere, ci saremmo rovinati. Questo anche nel modo di suonare. Le cose fondamentali rimangono».
Sono rimaste le vostre radici beat...
«Siamo rimasti sulla strada scelta, un punto di riferimento nel nostro genere. E non ci siamo mai trasferiti dai paesi alle grandi città; questo è servito a restare noi stessi, a rimanere attaccati alle nostre radici. Tutto ha influito a far diventare quello che siamo».
Parliamo dei concerti (lunedì al Lirico): che cosa avete preparato per il pubblico?
«Concerto in due tempi, in tutto circa due ore e venti. Abbiamo un repertorio che per ampiezza ormai fa paura: 360 canzoni. Per esempio, proporremo le canzoni che non si possono non fare, come Io, vagabondo, Dio morto e Noi non ci saremo. Poi abbiamo delle canzoni importanti per la nostra storia e altre che raccontano quanto è successo. Concerto in due tempi, in tutto dura circa due ore e venti. Un pubblico variegato, in prima fila fan e musicisti di cover band (censite 160, ndr)».
Ci saranno anche i pezzi del disco «Solo esseri umani»...
«L'ultimo che abbiamo pubblicato, nel 2021. Una cosa importante di questo lavoro è che dopo tanti anni abbiamo dedicato una canzone ad Augusto Daolio. Poi sempre per quanto riguarda la realizzazione del disco, probabilmente e inconsciamente siamo stati influenzati da quanto succedeva, dalla pandemia. Grande cura per testi e registrazioni. Altri progetti? Saranno nel 2023, in occasione dei nostri 60 anni».
Dall'alto dei vostri 60 anni un'opinione sui colleghi giovani, prendiamo il caso Maneskin.
«Hanno avuto il coraggio di portare a Sanremo le loro canzoni. E questo mi ha fatto molto piacere. Sono stimolanti per chi vuole fare un gruppo. Bravi e si sanno vendere bene, sarà il tempo a dire e a giudicare».
In una carriera anche gli incontri giusti lasciano il segno (o semplicemente piacere), quali i vostri?
«Per quanto ci riguarda l'unico vero incontro è stato quello con Francesco Guccini. Dopo c'è stima reciproca con Zucchero. E ancora, da quando è scomparso Augusto tutti gli anni organizziamo un ricordo; sono saliti sul palco con noi in molti, da Jovanotti a Fiorello, Biagio Antonacci e Ligabue».
Non solo musica: vi «spedente» anche per il sociale, prendete posizione...
«Con l'associazione Augusto per la vita, a favore della ricerca contro il cancro, abbiamo raccolto quasi un milione di euro.
E ora, vedendo che cosa sta succedendo in Ucraina, abbiamo cantato a un corteo; nel nostro repertorio c'è un pezzo che si intitola Contro, contro l'odio e la guerra. Personalmente lo faccio molto volentieri. Ognuno deve dire la sua con l'arma che ha a disposizione, noi abbiamo l'arma della canzone».
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