«Milano è la mia città ma ora è disintegrata»

«Milan l'è on gran Milan. È la mia città. Ho sempre vissuto qui, nato in piazza VI Febbraio, cresciuto all'ombra della Campionaria, ora in zona San Siro - e qui ho la mia famiglia, i miei figli e i miei affetti. Ma dire che mi piace la Milano di oggi, quello no, proprio non posso». Non c'è perciò da stupirsi se l'eterno genio ribelle Eugenio Finardi, 62 anni a luglio, abbia temporaneamente deciso di emigrare per incidere «Fibrillante», che oggi presenterà dal vivo in piazza della Pieve a San Donato Milanese. Si tratta del primo disco di inediti in 15 anni, che riesce nell'impresa di suonare contemporaneo (grazie anche alla produzione di Max Casacci dei Subsonica) e di richiamare in qualche modo anche la stagione ruggente degli esordi alla Cramps di Gianni Sassi (l'anno prossimo saranno 40 anni dalla pubblicazione dell'ellepi di debutto, «Non gettare alcun oggetto dai finestrini!»).
«Oggi come oggi amo molto di più Torino di Milano. E non solo per la scena musicale, davvero straordinaria. Le Olimpiadi invernali hanno fatto bene a Torino, grazie ai Giochi si è abbellita e sembra fatta su misura per giovani e alternativi. Di Milano che dire? Negli ultimi decenni l'hanno disintegrata, spezzato la schiena, fatto perdere il proprio ruolo. E con Expo le cose andranno ancora peggio. Ormai è la capitale amorale. La città dei teatri chiusi, della cementificazione violenta, dove si costruisce su terreni inquinati come a Santa Giulia e si lascia carta bianca a certe archistar, narcisisti senza nessun rispetto dello spirito di Milano, capaci di obbrobri inenarrabili come le nuove case di piazza VI Febbraio, che mi ricordano la Costa Concordia spiaggiata. La città dove non c'è lavoro, e si vendono loft a 15mila euro al metro quadro. E poi c'è una cosa che non sopporto: aver dato preminenza alla moda, e cioè a qualcosa che è il non plus ultra dell'effimero. Come gli happy hour che ci propinano…».
Per dirla come Bartali, l'è tutta da rifare
«Ci sono ancora molte eccellenze. Dalla Scala, pur con tutti i suoi problemi, al Conservatorio, passando per esperienze di altissimo livello nell'ambito della musica contemporanea, come l'Ensemble Sentieri Selvaggi. Per quanto riguarda la musica dal vivo invece è un mezzo disastro. Ci sono troppi concerti a San Siro, uno stadio del tutto inadatto, ma poi non ci sono spazi dove poter suonare dal vivo. Apprezzo i ragazzi del Magnolia, non a caso ho contribuito al crowdfounding per il ristrutturarlo. Per il resto è il deserto».
Pur vivendo una seconda giovinezza, riscoperto anche dai giovanissimi (si sprecano i «like» sul suo frequentatissimo profilo Facebook), l'autore di classici come «Extraterrestre», «Musica Ribelle» e «Diesel» (evergreen che non avrebbe mai pensato di tornare a cantare dal vivo…) si vede costretto a rimpiangere i tempi andati: «Sul finire degli anni Sessanta e i primi Settanta c'era tantissima vitalità in città.

All'epoca c'erano i concorsi musicali di band scolastiche (quando era ancora studente della scuola americana ne vinse uno con Alberto Camerini al Bang Bang, la cosiddetta discoteca della mala di via Molino delle Armi, ndr), ma anche tante feste, di parrocchie e aziende tipo Inps e Atm, che organizzavano concerti per i propri dipendenti. Insomma allora sì che Milano era una città music-fiendly. Avevo 20 anni e la Numero 1 di Lucio Battisti incideva delle mie canzoni. Oggi di sicuro non potrebbe più succedere».

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