Giampaolo Berni Ferretti, vice capogruppo di Fi al Municipio 1, perché oggi è così impellente il bisogno di una forza liberale e riformista?
«La necessità di una cultura politica liberale che guardi al futuro con occhi puliti, citando il titolo del mio ultimo libro, deve partire da una riforma della politica stessa. In riferimento al suo significato originario etimologico, ovvero fondata sulla centralità della polis, deve ristabilire un rapporto diretto e dialettico con i cittadini, sempre più partecipi e deliberanti rispetto al processo democratico riuscendo, citando Gianni De Michelis, a prevedere il futuro, permettendone la concretizzazione nel segno dell'uomo. Il liberalismo è recupero di quella antica concezione dei diritti di libertà, tanto cara a Locke, che oggi coincide con la riscoperta di un uomo non è riducibile alla sola veste di consumatore».
La cultura cristiana in senso lato ha spazio in questo progetto?
«Il connubio tra liberalismo e cristianesimo è il fondamento della nostra civiltà occidentale. La portata universale del messaggio cristiano è essenziale in un mondo che voglia raggiungere quello stato di civiltà ideale e perpetuo che sia in grado di tenere insieme individui differenti all'interno di un assetto democratico e giuridico fondato sulla tolleranza e quindi sul diritto di cittadinanza di tutte le libertà meno che quella impositivo-coercitiva».
Che ruolo deve ricoprire l'Europa in questo momento storico in cui il nazionalismo sembra essere tornato in auge?
«L'impostazione liberale riformata deve avere come suo punto nevralgico proprio l'Europa. Un'Europa che sia concettualmente delimitata dalle sue cattedrali, e quindi dalla sua cultura cristiana («L'Europa o cristianità») e che sappia confrontarsi e progredire in un mondo in cui lo Stato nazionale non sembra più in grado di svolgere efficacemente quella funzione di incubatore dei diritti dei cittadini in vista del benessere, individuale e sociale. Da questo punto di vista lo Stato deve riformare profondamente se stesso, soprattutto nei settori della burocrazia e della giustizia dove gli ideali di un liberalismo emancipatorio fanno fatica ad affermarsi».
Milano può rappresentare l'epicentro di questo rinascimento liberale di impronta europea?
«La sua conformazione policentrica di distretto culturale può far sì che la città si trasformi in un modello in cui la metropoli anticipa quelli che saranno i mutamenti urbanistici e di configurazione democratica. A tal proposito la diade locale-globale cesserà di avere un carattere confliggente per approdare a un modello glocal fondato sulla reciproca cooperazione in vista del progresso morale e civile della stessa democrazia.
Dalla legislazione urbana all'economia circolare fondata sulla sostenibilità la città di Milano si pone quindi come la miglior interprete di quel sogno e di quella riforma del capitalismo che, partendo da un livello locale, sia in grado di tenere insieme crescita e protezione sociale, libertà di mercato e responsabilità sociale».
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