Gli occhi stretti e pungenti e la barbetta bianca che gli circonda il viso rubizzo gli danno una vaga somiglianza con padre Pio. E, di certo, in comune con il santo di Pietrelcina frate Antonio Zanotti ha l'irruenza un po' eretica e una carica capace di sollevare un elefante. Per capirlo basta imboccare la statale Rivoltana e farsi guidare in uno dei villaggi-comunità costruiti in questi anni dal gruppo «Oasi 7» di cui il padre cappuccino è fondatore. La zona, al confine tra le province di Bergamo e Cremona, è una delle anonime pianure lombarde che d'inverno si immergono nella nebbia che sale dal fiume Adda e d'estate meritano tutt'al più una scampagnata domenicale. Ma proprio tra queste cascine ha preso corpo uno di quei miracoli che si manifestano solo quando la fede si sposa con l'azione anzichè farsi inquinare dalla politica e dai clericalismi.
I nomi delle località dove padre Antonio ha dato casa, lavoro e una ragione di vita agli ultimi della società - ex tossici, ragazze madri, anziani soli, disagiati psichici - sono poco noti perfino ai padani doc: Antegnate, Campisico di Capralba, Boffalora d'Adda. Il miracolo è che qui la solidarietà non si concretizza con un letto e un piatto di zuppa ma con un'ospitalità degna di un resort, tra bungalow circondati da aiuole fiorite, laboratori e luoghi d'incontro dove gli ospiti partecipano al mantenimento e allo sviluppo della comunità. Al centro, una chiesa-auditorium dove padre Antonio recita una lunga messa che è quasi un'intera predica contro l'egoismo e i mali del mondo. Senza peli sulla lingua.
Tutt'intorno, case-alloggio colorate tra laghetti e piante tropicali. «Qui c'erano solo cascine abbandonate - racconta - e io avevo tante anime da raccogliere: prostitute, drogati e malati psichici a cui le famiglie non erano in grado di badare, ragazzi alla deriva. Hanno costruito quasi tutto loro e io, ad essere sincero, non avevo neppure i permessi... Sono andato avanti lo stesso e alla fine i Comuni mi hanno aiutato».
Nel Villaggio «Terra Promessa» ad Antegnate sorgono 24 alloggi unifamiliari per l'accoglienza di anziani soli autosufficienti ma anche, come nelle altre comunità, di profughi africani provenienti dalla crisi libica: in tutto sono una settantina. Nella stessa località sorge «Oasi 7A», una comunità protetta di ambito psichiatrico che ospita una decina di giovani. «Casa Mahima» a Boffalora d'Adda, invece, accoglie una quindicina di tossicodipendenti, mentre il villaggio «Oasi 7M Silvia» assiste 25 nuclei di ragazze madri con minori in situazioni di disagio: in tutto una sessantina di persone. Ma padre Antonio, che nel 2007 ha ricevuto il «Premio per la Pace» dalla Regione Lombardia, è costantemente oggetto di sollecitazioni dalle famiglie e dai fedeli; per rendersene conto basta vedere il suo cellulare bollente o assistere alla processione in sacrestia al termine delle messe. «Ma capita talvolta che sia io stesso a raccoglierli dalla strada. Mi ricordo di un mendicante che insisteva a chiedermi soldi per mangiare: lo portai a pranzo al Savini».
Come in tutte le storie miracolose il confine tra realtà e sogno è sempre molto labile, ma chi conosce bene il vulcanico frate cappuccino giura di averlo visto più volte distribuire denaro a chiunque gliene chiedesse. «Abbiamo dato a tanti - si schernisce - ma quando c'è stato bisogno la Provvidenza è sempre intervenuta». La Provvidenza passa anche attraverso i tanti amici devoti che padre Antonio conta anche nel mondo dei cosiddetti Vip. Il resto, spesso simbolico, deriva dalle rette di sostentamento degli ospiti versate dai Comuni e dalle Asl.
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