Guido Guidesi, leghista di Codogno, neo assessore allo Sviluppo economico, ieri esordio in Consiglio regionale. Vissuto con emozione?
«Certo, io ho detto sì con entusiasmo a questa proposta del governatore e del segretario del mio partito. Qualcuno mi chiede se sia un peso dimettermi dal Parlamento, io devo dire che la cosa più bella è fare politica servendo la propria comunità e il proprio territorio».
Si è già dimesso?
«Lo farò nella prima settimana di febbraio, coi tempi tecnici previsti. E l'entusiasmo con cui ho accettato lo trasformerò in dedizione, pragmatismo e lavoro, da buon lombardo».
Nessun rimpianto quindi. Fra l'altro lei la Regione la conosce bene.
«L'ho frequentata prima con un ruolo di staff, poi perché per il ruolo che avevo a Roma (sottosegretario, ndr) l'interlocuzione era quotidiana, anche sulle esigenze della Lombardia».
La gratifica essere considerato esponente della Lega «di governo» o ha poco senso?
«Il nostro è un partito che amministra tanti territori, che governerà ancora in Italia - prima possibile spero - e che ha potenzialmente risorse che possono esprimersi in tanti ruoli di governo. La Lega è di lotta e di governo, a me è sempre piaciuto interpretare il mio ruolo come sindacalista del territorio, come si dice».
Su quali priorità lavora?
«Tentare di salvaguardare il sistema produttivo lombardo in un momento di grandissima difficoltà, che si traduce per alcune imprese in un rischio mortale, con perdita di innumerevoli posti di lavoro. Il governo non ci aiuta. Il mio approccio è l'idea di un'alleanza con le imprese e con il mondo produttivo. Chi ha una partita Iva deve sapere che la Regione è un alleato».
Concretamente?
«Due pilastri. Il primo è la tenuta, quindi gli indennizzi, quelli già erogati e quelli futuri. Poi la revisione degli strumenti esistenti, affinché siano più compatibili con le esigenze del mondo produttivo, con una visione da qui al 2030. Nessuno deve indicare la strada alle imprese, ma devono esserci gli strumenti per sostenerne la tenuta e la crescita».
Quali sono?
«Credito, formazione, innovazione degli impianti, questo per tutta la filiera, dal piccolo artigiano alla grande azienda».
Si può leggere così l'annuncio del governatore sulla revisione del Programma regionale di sviluppo?
«Spero di sì, credo di sì. Il rilancio dipende da vari fattori. Ora il primo sono le vaccinazioni e in questo senso va la proposta avanzata col vicepresidente Moratti: un impiego dei medici del lavoro per vaccinare in azienda. Questa cosa funzionerà tanto quanto il governo sarà in grado di provvedere all'approvvigionamento. Seconda questione, la zona rossa, che pesa. Il rilancio dipenderà anche da questo, ma io sono ottimista, se faremo squadra con questi elementi allineati allora potremo tornare grandi».
Altrimenti cosa si rischia?
«Se il governo non farà la sua parte si rischia. Bisognerà tenere presente, per esempio, anche le aziende che hanno rapporti con l'estero, dove ormai il vaccino è richiesto come condizione. Le parole della vicepresidente Moratti sono state strumentalizzate ma è evidente che se riparte la Lombardia riparte il Paese».
Il piano Lombardia?
«Quegli investimenti hanno fatto partire circa 2.500 cantieri di manutenzioni e opere pubbliche. Sono investimenti grazie ai quali molti hanno lavorato».
Il recovery è una speranza?
«Dipenderà da tante cose. Non sappiano come queste risorse verranno divise per 20, non abbiamo contezza di quanto il governo ci farà partecipare ma sappiamo che avrà bisogno delle Regioni, anche perché si trova in grande difficoltà progettuale e dovrà presentare molti progetti per ottenere le risorse necessarie. Non si sa molto. E se si pensa all'attenzione che il recovery ha avuto nei mesi scorsi, è segno che qualcosa non va lì».
Lei come lo userebbe?
«Per esempio non per il bonus monopattino. Non contesto il monopattino, intendiamoci, ma l'incentivo pubblico per un prodotto che oltretutto arriva in gran parte dall'estero».
Sui ristori come operate?
«La Lombardia ha fatto quel che il governo non ha fatto. Il nostro metodo ha funzionato, grazie al lavoro dei colleghi Caparini e Mattinzoli, e ha permesso a tanti di compensare almeno una parte delle perdite. Vogliamo continuare, siamo in fase di trattativa per capire di quante risorse possiamo disporre. Pensi che al decreto rilancio del governo, di 6-7 mesi fa, mancano ancora 200 decreti attuativi e relativi stanziamenti».
Ma perché al governo hanno questo approccio? Incapacità o intenzione di smantellare un sistema produttivo riottoso alle logiche stataliste?
«Credo due aspetti. Primo, non si rendono conto della realtà, e l'ho capito quando la mia comunità, Codogno, è stata colpita come prima zona rossa e da Roma non capivano cosa stesse succedendo. Dall'alta parte c'è un problema culturale: questo governo ha fondato le sue politiche sull'assistenzialismo, un clamoroso errore, anche perché senza gettito fiscale non c'è neanche spesa pubblica.
Che siano in buona o mala fede giudicate voi. Io vedo astio per il mondo della partite Iva, per coloro che rischiano e ce la fanno. Noi vogliamo fare esattamente il contrario. C'è un'emergenza sanitaria e c'è una battaglia culturale».
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