«Noi che aiutiamo i ragazzi ad abbandonare Rogoredo»

Per i volontari che hanno convinto cento giovani a farsi curare, guarire dalla tossicodipendenza si può

Paola Fucilieri

«È un po' come fare impresa, se non fosse che il competitor potrebbe apparire disarmante: lo spaccio. Allora veniamo qui, con questo banchetto appena fuori dal bosco di Rogoredo e offriamo a questi ragazzi tossicodipendenti - che sono appena andati a comprare una dose in quello che è un vero e proprio outlet della droga perché si trova di tutto e soprattutto di bassa qualità - tutta una gamma digeneri di conforto che lanciano un messaggio unico: vieni da me che io ti do un prodotto migliore di quello che stai utilizzando, vieni da me e vedrai che uscire da questa dipendenza non è facile ma nemmeno impossibile. È così che funziona. E vorremmo avere a disposizione un prodotto sempre più appetibile. Invece è una battaglia quotidiana: c'è una lista d'attesa, servono più spazi, dovremmo avere più posti. Quel che occorre è solo la buona volontà del servizio pubblico a mettere dei luoghi protetti accanto ai Sert per accompagnare durante la disintossicazione chi vuole smettere con la droga. E necessita di una rete continua».

Mercoledì, ore 21.30. Fuori dalla stazione ferroviaria di Rogoredo c'è un tavolo pieno di cioccolato, pezzi di panettone, panini con il salame o solo con il formaggio (per ii musulmani), tortelli alla crema, un invitante thermos di tè caldo, acqua, salviette, cerotti e tutto quel che può servire a chi esce dal boschetto di Rogoredo. Qui infatti si fermano tutti. Per chi si sente un emarginato senza futuro, legato mani e piedi al giogo della tossicodipendenza, il ben di dio che trova sul banchetto altro non è che un pretesto per parlare con i volontari, sentire il calore della loro umanità e incontrane i sorrisi. Come quello di Anna del Cisom (La Protezione civile dell'Ordine di Malta) che spiega: «Hanno diritto a essere ascoltati al di là delle loro miserie».

Chi ci parla sin dal primo istante è Pietro Farneti, 56 anni, consigliere delegato di Fondazione Eris onlus, lo Smi (Sert privato accreditato) che ha permesso alla prefettura di Milano di parlare, all'interno del progetto L'Unione fa la forza, di un reale «recupero di tossicodipendenti». Le cifre uscite da palazzo Diotti corrispondono infatti a quelle realizzate da questi volontari, oltre un centinaio di persone che comprendono anche medici, educatori e infermieri. E che dall'inizio del 2020 hanno in cura oltre 880 persone affette da dipendenze di vario genere (di queste oltre 600 su Milano e le altre nei centri in provincia di Monza Brianza) e a Rogoredo, dall'11 febbraio 2019 sono entrati in contatto con più di 200 tossicodipendenti, riuscendo a convincerne oltre novanta a intraprendere un percorso di cura. Un numero che solo mercoledì si è arricchito di altre tre preziosissime unità.

Farneti ha fatto del volontariato la sua vita. Ed è anche grazie a persone come lui che Fondazione Eris possiede uno tra gli strumenti più avanzati nella lotta alle dipendenze, ovvero una tecnologia per la neuro-stimolazione cerebrale (Dtms, Deep Transcranic Magnetic Stimulation) che irradia con un campo magnetico indolore le aree del cervello su cui agisce l'assuefazione con l'obiettivo di contrastarne il «meccanismo».

«A volte mi accusano di forzare il sistema, perché obbligo il servizio pubblico a prendersi carico delle persone attraverso quella che noi chiamiamo offerta dolce, accoglienza. Solo così, venendo qui e dialogando, abbiamo preso in cura tutti i tossicodipendenti che hanno deciso di curarsi dopo che le forze dell'ordine hanno operato una drastica riduzione del degrado» sottolinea il consigliere delegato di Eris. E aggiunge: «C'è poca trasparenza. L'attività di presidio quotidiano di riduzione del danno - dove vengono fornite le siringhe e alcuni supporti sanitari - è molto finanziata, ma del resto non si parla. Eppure abbiamo ragazzi dai 13 ai 22 anni (la metà sono donne) che rischiano di avere un futuro molto problematico dal punto di vista psichiatrico e neurologico se non vengono presi in tempo e non dopo anni di dipendenza. Tra i nostri assistiti abbiamo anche molte persone socialmente inserite come professionisti, manager e studenti: molti di loro gli stupefacenti li vendono solo per potersi a loro volta drogare».

«Ogni giorno ricevo telefonate di genitori preoccupatissimi ai quali vorremmo far capire che i loro figli si possono curare. - conclude Farneti -.

E non serve, come pensano in molti la motivazione, che peraltro una dipendenza come quella da droga e dall'alcool non dà perché annulla la volontà -, ma bisogna solo continuare e insistere. Il giorno giusto prima o poi arriva».

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