«Piano solo», l'Arcimboldi sostiene Bollani

«Piano solo», l'Arcimboldi sostiene Bollani

Si può essere di successo, per certi versi di «massa», e ciononostante godere di un apprezzamento critico incondizionato? Sì, se ci si chiama Stefano Bollani, protagonista di un attesissimo recital «piano solo», questa sera (ore 21) agli Arcimboldi.

Perciò, non stupisce che il 42enne pianista milanese di nascita, ma fiorentino d'adozione, conquisti il pubblico di Sanremo (come è accaduto un paio di anni fa) e, al tempo stesso, «Joy In Spite Of Everything», l'album Ecm del 2014 che ne ha ulteriormente arricchito una discografia sempre più formato extra-large, sia stato stato premiato come disco dell'anno dai tipi di «Musica Jazz». La motivazione adottata dalla più grande testata jazz tricolore la dice lunga: Stefano Bollani, la cui popolarità, anche all'esterno del mercato del jazz, sembra non conoscere confini, ottiene il premio «Arrigo Polillo» per il disco dell'anno grazie alla riuscita collaborazione con due grossi calibri statunitensi come Mark Turner e Bill Frisell, che si sono inseriti a meraviglia nel cosiddetto Danish Trio completato da Jesper Bodilsen e Morten Lund. Poche righe dalle quali si intuisce l'essenza di un artista a tutto tondo. Jazzista di prima grandezza, ormai apprezzato anche dalle star made in Usa (un privilegio per pochi eletti di casa nostra...), ma non talebano jazz. Perché il nostro è anche grande performer (dal vivo non fa mai mancare imitazioni e gag) ed altrettanto abile e godibilissimo divulgatore-intrattenitore («Dottor Djembe» e «Sostiene Bollani» resteranno due cult della radio e della tv italiana...).

Di Bollani piace il suo essere musicista dai mille ascolti e dalle mille passioni (il jazz su tutto, ma anche la musica brasiliana e il rock), e che quando vai a vederlo la sua scaletta ti stupisce sempre. Perché l'importante è improvvisare. Il suo chioso fisso. Il suo modo di concepire la musica.

Manco fosse un artigiano, smonta e rimonta pezzi di composizioni. Sue e non sue. Che sia George Gershwin (il suo omaggio realizzato in coppia con Riccardo Chailly è stata un best seller) o che sia Frank Zappa, l'ultimo grande irregolare del rock, al quale ha di recente dedicato un bellissimo album dal titolo «Sheik yer Zappa», una mezza dozzina di temi zappiani reinterpretati per prendere il largo verso orizzonti altri e lontani.

«Con i monumenti ho lo stesso atteggiamento dei piccioni», ha dichiarato di recente per spiegare la sua libertà verso i grandi “monumenti” della musica.

Ci vuol poco per capire che se Zappa fosse ancora vivo, andrebbe fiero di questo suo estroso e stropicciato discepolo, generosissimo nelle performance, durante le quali si diletta a cambiare le carte in tavola (pardon, le canzoni) ogni sera, e molto arguto nel confezionare battute a ripetizione.

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