Il limbo è cominciato, e chissà quando finirà. Alle otto e mezzo di ieri, quando i primi pubblici ministeri entrano nei loro uffici della Procura della Repubblica, sanno che la luce in fondo al corridoio è destinata a restare spenta. La stanza 16 che fu di Borrelli e di D'Ambrosio, l'ufficio del capo, da ieri mattina è vuoto. Francesco Greco, l'ultimo inquilino, passerà ancora in questi giorni, per finire di impacchettare le sue cose. Ma ieri mattina quella luce spenta è il segno concreto che un'epoca si è chiusa, e che il futuro di uno degli uffici giudiziari più importanti del Paese - per alcuni aspetti, il più importante in assoluto - è da oggi entrato ufficialmente nella fase dell'interregno, dell'incertezza.
Nel suo ufficio a metà corridoio, la stanza che fu a suo tempo di Piercamillo Davigo, sta chiuso il magistrato cui toccherà, essendo il «vice» più anziano, gestire la Procura durante l'attesa non breve del nuovo capo: Riccardo Targetti, già azzurro di nuoto alle Olimpiadi di Monaco '72, oggi specialista di reati economici e bancarotte. Ad aprile andrà in pensione anche lui: se il Csm (come purtroppo è possibile) non avrà ancora scelto il nuovo capo, dopo Targetti toccherà a Maurizio Romanelli, visto che l'altro «anziano», Fabio De Pasquale, alle prese con i procedimenti penali e disciplinari a suo carico, pare non abbia nessuna voglia di assumersi la rogna.
Ma intanto, in quella sorta di Transatlantico che è il corridoio che porta all'ufficio del capo, l'assenza di una guida, e con essa di un progetto comune, è già quasi palpabile. Qui un tempo si incrociavano pm, avvocati, investigatori, un brulichio di interrogatori, riunioni, trattative. Ieri alle dieci e mezzo l'unica forma di vita è un commesso che spinge un carrello semivuoto.
La verità - e basta parlarne fuori dall'ufficialità con avvocati e magistrati per averne la conferma - è che uno dei frutti più diretti delle lacerazioni e dell'incertezza che regnano al quarto piano del palazzo di giustizia è l'esaurimento della spinta propulsiva che era figlia o nipote di Mani Pulite, e che portava a scavare fuori dai sentieri della routine. Oggi il pm medio, in attesa di capire in che direzione porterà l'ufficio il nuovo Procuratore - è indotto per forza di cose a rifugiarsi nell'ordinario. Si fa quel che si deve: nulla di meno, ma raramente qualcosa di più.
Un termometro lo forniscono anche i comunicati, le conferenze stampa: dall'inizio dell'anno solo due per annunciare sviluppi di indagini, prima quella contro lo sfruttamento dei rider, poi quello sui fondi esteri del presidente della Regione, Attilio Fontana.
Il resto solo per parlare della «loggia Ungheria», il fantomatico gruppo di potere al centro di una serie di verbali, e per difendere l'operato dei pm indagati a Brescia per il caso Eni: ovvero i due veleni che squassano la Procura. Da giugno, il silenzio.Settantasette pm, chiusi nelle loro stanze, aspettano una nuova guida. Molti vivono il trantran con disagio; qualcuno si è adeguato senza fatica.
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