"Quando la crisi finirà, nella Bergamasca fonderò il mio museo"

Il costruttore Leggeri mette a disposizione la sua grande collezione: è pronto un castello

"Quando la crisi finirà, nella Bergamasca fonderò il mio museo"

Per gli appassionati d'arte, Alzano Lombardo è un nome familiare da molto prima che il paesello alle porte di Bergamo balzasse tristemente alle cronache per i morti del corona virus. Proprio qui, in un ex opificio Italcementi di 3.500 metri quadri, il costruttore architetto bergamasco Tullio Leggeri aveva fondato undici anni fa il centro ALT, acronimo di Arte Lavoro Territorio, un immenso spazio d'arte splendidamente restaurato dove aprì al pubblico la sua collezione di oltre 250 opere dei maggiori artisti internazionali: da Maurizio Cattelan a Tony Cragg, da Gino De Dominicis a Wim Delvoye, da Rebecca Horn a Joseph Kosuth. Non solo. Il «museo» allora realizzato con Elena Matous Radici, vedova dell'imprenditore ex campione di sci Fausto Radici, prevedeva laboratori, un bookshop con saggi di critica e libri d'arte, un ristorante di cucina ricercata ma a prezzi contenuti e spazi per conferenze, incontri ed eventi di arte contemporanea. Il sogno svanì nel novembre del 2017 per mancanza di fondi, ma soprattutto per la miopia di una giunta indifferente al valore culturale del progetto e all'indotto per il territorio. «Quell'operazione, acclamata a livello internazionale e premiata al Congresso mondiale di architettura di Istanbul, è costata ingenti investimenti privati - racconta Leggeri - e il sindaco, anzichè cavalcarla, pretendeva 750mila euro di costi di urbanizzazione, quasi si trattasse di edilizia residenziale. Un ostracismo che ha scoraggiato anche l'ingresso di nuovi partner e così ho dovuto gettare la spugna, con il risultato che quegli spazi sono rimasti vuoti, probabilmente destinati al degrado». L'architetto Leggeri, che in queste settimane di quarantena si è ritirato nella sua casa di Trescore Balneario, non ha ovviamente smesso di coltivare la grande passione della sua vita: che non è stata semplicemente collezionare opere d'arte contemporanee, ma anche collaborare attivamente ai progetti degli artisti viventi con cui ha instaurato rapporti di stima e amicizia. Come gli italiani Mario Airò, Stefano Arienti, Alberto Garutti e Adrian Paci. Tra i tanti progetti, gli appassionati ricordano la grande mostra del 2017 tra le rovine del Palatino a Roma, dove Leggeri allestì un centinaio di opere della sua collezione sfrattata da Alzano Lombardo, producendo anche la realizzazione di installazioni «site specific». Un altro progetto vede il costruttore bergamasco impegnato nella realizzazione di un'opera pubblica dell'artista albanese Adrian Paci nel nuovo quartiere milanese di Citylife («interrotto in fase di ultimazione per l'emergenza coronavirus»). E ancora, Leggeri ha preso parte attiva con importanti opere della sua collezione all'apertura del nuovo grande spazio d'arte XNL di Piacenza con la mostra La rivoluzione siamo noi, «che io ribattezzato la prima biennale del collezionismo italiano». Ma il vero sogno nel cassetto resta un vero museo aperto a tutti nel suo territorio, la Bergamasca, dove poter condividere la sua immensa raccolta («perchè l'arte è condivisione») e la passione sposata anche dai suoi due figli. Un sito pronto già esiste, anche se per scaramanzia fa fatica a parlarne. «È un importante castello Visconteo del XV secolo completamente da ristrutturare nel borgo di Castel Liteggio, comune di Cologno al Serio. Vorrei acquistarlo, rimetterlo in sesto e creare una sorta di villaggio globale dell'arte dove ospitare anche gli artisti a lavorare. Speriamo, anche perchè ora in questa situazione di emergenza tutto è maledettamente fermo».

Già, un'emergenza che ha più duramente colpito proprio queste zone e che ha mandato completamente in tilt gli ospedali della Bergamasca («ma qui non mi pare di vedere grandi corse alle donazioni come a Milano, di soldi ne girano tanti ma la gente ha il braccino corto»).

E questa crisi non mancherà di lasciare il segno anche nel mondo dell'arte, il «suo» mondo. «Penso che da questa emergenza abbiamo tutti da imparare, soprattutto gli artisti che nelle epoche di guerre, epidemie e sofferenze hanno spesso prodotto le intuizioni più interessanti.

Un po' me lo auguro, perchè negli ultimi dieci anni ho visto n'arte ripiegata su se stessa, con i giovani che continuano a ripetere le cose delle generazioni passate. Nella mia vita di collezionista mi sono sempre divertito ad acquistare anche opere che non capivo. Da un po' di tempo, invece, faccio fatica a stupirmi».

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