Rabbia dei ristoratori. "Per noi è la morte"

Sotto la Regione protesta degli imprenditori che col blocco perderanno 40 milioni al mese

Rabbia dei ristoratori. "Per noi è la morte"

I ristoratori milanesi sono scesi di nuovo di nuovo in piazza per difendere le loro imprese. «Per noi il coprifuoco è la morte». «Io domani come pago i miei dipendenti?». «Vogliamo poter lavorare rispettando le norme e rispettando le leggi, ve lo dice uno che è stato ricoverato con il Covid». C'è tanta rabbia nelle loro parole.

Dopo la protesta di maggio sotto l'Arco della Pace in cui i gestori di ristoranti e bar avevano portato le sedie vuote dei loro locali per protestare contro le regole Inail per il distanziamento sociale che aveva di fatto dimezzato i coperti, ieri con Alfredo Zini, presidente del Club Imprese Storiche di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza, sono scesi in piazza Città di Lombardia, all'ombra del palazzo della Regione. E la minaccia è di «tornare a manifestare ogni giorno sotto il Comune e la Regione ogni giorno alle 23 dopo aver chiuso i nostri locali».

Nel mirino dei ristoratori il coprifuoco deciso l'altra sera dopo il vertice in regione tra il governatore Attilio Fontana e i sindaci dei capoluoghi lombardi che hanno individuato proprio nella movida notturna il maggior rischio di contagio. Un provvedimento che però rischia di mandare sul lastrico tanti imprenditori e soprattutto tantissimi lavoratori impiegati nel settore della ristorazione. E la minaccia è di «tornare a manifestare ogni giorno sotto il Comune e la Regione ogni giorno alle 23 dopo aver chiuso i nostri locali».

Nel mirino dei ristoratori il coprifuoco che scatterà domani dalle 23 alle 5 su tutto il territorio regionale, o meglio la mancanza di misure a tutela del settore già gravemente compromesso. «Il nostro messaggio è rivolto proprio al presidente Fontana - spiega Alfredo Zini a nome dei 2mila esercenti aderenti- Abbiamo deciso di manifestare, dopo la notizia della richiesta di un coprifuoco notturno». Le richieste? Misure di compensazione ovvero «una riduzione delle tasse, dei tributi locali e del costo del lavoro, che ci permetta di stare in piedi». Le misure finora adottate da Governo e Regione che riguardano il settore produttivo di ristoranti, bar, pizzerie, pasticcerie, discoteche, pub, gelaterie e locali serali, «sono insostenibili per la gestione ordinaria di tutto il comparto e insopportabili economicamente, Noi imprenditori ci auguriamo che i comuni non applichino restrizioni ulteriori». Secondo Zini, «ci stanno chiedendo di continuare a lavorare con gli stessi costi, anzi addirittura più di prima, in quanto abbiamo dovuto e continuiamo ad acquistare prodotti e dispositivi per contrastare la diffusione del virus, per rispettare le nuove norme, ma ad oggi abbiamo avuto una diminuzione degli incassi nella migliore delle ipotesi pari al 60 per cento sull'anno precedente». Eppure i bar e i ristoranti «hanno aiutato Paese, Regione e Comuni ad aumentare gli introiti nelle casse delle amministrazioni».

«Già stiamo vedendo gli effetti di questo annuncio - denuncia Andrea Painini, presidente di Confesercenti Milano - Cerchiamo un'interlocuzione per capire come si possa aggiustare il tiro. C'è una totale disintermediazione che ci costringe a inseguire gli interlocutori, a tirarli per la giacchetta, questa sovrapposizione tra Stato, regioni e comuni crea solo confusione e non ci aiuta di certo. Il timore è che si arrivi ad un nuovo lockdown totale, mi pare ci siano tutti i presupposti. C'è anche un'attività di terrorismo informativo».

Secondo l'elaborazione dati dell'Ufficio Studi Confcommercio Milano la chiusura dalle 23 alle 5 comporterebbe per le 9mila imprese del settore della somministrazione enormi perdite. Si calcola per i 2mila tra bar e pub con attività prevalentemente serale, una perdita di 31,4 milioni di euro al mese, cui si aggiungono 10 milioni per il settore dei ristoranti. La chiusura nei week end dei centri commerciali, ad esclusione del settore alimentare (19 in tutto) comporta un ammanco previsto di 13 milioni di euro al mese, mentre per le 765 medie strutture una perdita pari a 59 milioni di euro. «Il mondo del commercio non alimentare e della ristorazione è già stato messo a dura prova durante i mesi di lockdown, che alla situazione attuale, prevedono a fine anno una stima di perdite del fatturato ben superiori al 30 per cento denunciano le imprese associate a Cncc, Confcommercio Lombardia, Confimprese, Federdistribuzione e Fipe - I negozi della media e grande distribuzione, i centri commerciali e i pubblici esercizi sono stati tra le prime realtà ad adeguarsi ai protocolli di sicurezza, gestendo l'affluenza e la sanificazione degli ambienti, rilevando la temperatura e dotando di prodotti igienizzanti i clienti. La sicurezza di clienti e collaboratori è sempre stata messa al primo posto.

Dalla riapertura degli scorsi mesi i punti vendita hanno dato costantemente mostra di poter esercitare la propria attività in totale sicurezza». Per contro, l'anticipo della chiusura rischia semplicemente di favorire code e assembramenti, proprio quello che, in teoria, si vuole evitare.

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