«Rieccomi a Milano Il jazz? È una famiglia»

Il trombettista sardo sul palco in duo, in quartetto e quintetto Con lui stasera Oren Marshall, il «Jimi Hendrix della tuba»

Luca Testoni«Fedele sì, anche se con molte trasgressioni». Musicalmente parlando, Paolo Fresu, sardo di Berchidda, 55 anni il prossimo 10 febbraio, la cui tromba ha dato lustro al jazz italiano in versione export, ama definirsi così. Difficile dargli torto. Anzi, la tre giorni formula «carta bianca» che lo vedrà protagonista al Blue Note di via Borsieri da stasera a domenica (per due concerti a serata: il primo alle 21 e il secondo alle 23), se vogliamo, ne è la riprova. Già, perché se la «chicca» dei concerti in duo di questa sera (una première assoluta per il nostro Paese dopo l'unico precedente in un jazz club londinese lo scorso autunno) con il pirotecnico e virtuoso musicista britannico Oren Marshall, non a caso ribattezzato il «Jimi Hendrix della tuba», è testimonianza diretta della sua inesauribile ricerca verso il nuovo applicato al jazz, sia il doppio set di sabato con il suo storico quintetto composto, oltre che da lui, dal contrabbassista milanese Attilio Zanchi, il sassofonista livornese Tino Tracanna, il batterista romano Ettore Fioravanti e il pianista cremonese Roberto Cipelli, sia quello di domenica con il Devil Quartet che annovera il chitarrista (suo conterraneo) Bebo Ferra, Paolino Della Porta (contrabbasso) e Stefano Bagnoli (batteria), esperienze che vanno a vanti rispettivamente da 32 e una dozzina d'anni, sono la riprova della sua capacità di fare squadra, di creare «una sorta di famiglia allargata basata su un rapporto di amicizia a prova di bomba e su una profonda stima reciproca».«Se ho chiamato Ostinato il mio primo disco con il mio storico quintetto vorrà pur dire qualcosa?», argomenta Fresu. «Quando penso al gruppo nato nel 1984, il più longevo in Europa (nessuno in ambito jazz può vantare la stessa identica formazione da così tanto tempo, ndr), o al mio festival Time in Jazz che si svolge a Berchidda da 28 edizioni consecutive (ed è ormai capace di produrre un indotto di un milione e mezzo di euro, ndr) mi piace pensare all'immagine di una costruzione fatta con rigore, costanza, passione e ostinazione. Solo con questi ingredienti si riesce a resistere alle sismicità del tempo».«Tra quintetto e quartetto ci sono molte similitudini, anche se il quintetto è la prima formazione in assoluto a mio nome. È nata e cresciuta con me ed è logico che la senta molto vicina e abbia nei suoi confronti un rapporto intenso, al limite del sentimentale. Se si guarda ai suoni, invece, la differenza tra i due gruppi è netta e profonda. Si tratta per certi versi di due esperienze complementari: il quintetto è una formazione con impianto jazz di stampo acustico e, per certi versi, tradizionale; il Devil Quartet no, perché, complice la presenza della chitarra di Bebo Ferra, si esplorano i territori del jazz elettrico».Poichè, però, Fresu è incapace di stare fermo e tiene contemporaneamente in vita non meno di 30 diversi progetti, non stupisce l'estemporanea collaborazione con Oren Marshall: «Ci siamo conosciuti suonando assieme nella formazione tutta di fiati Brass bang! del trombonista Michele Petrella (che pubblica per l'etichetta personale di Fresu, la Tuk Music, ndr). C'era da sostituire il suonatore di tuba portoricano Marcus Rojas, e chiamarono Oren. È di una bravura mostruosa e anche lui, come me, ama suonare il jazz facendo uso di marchingegni elettronici.

Tromba e tuba sono quanto di più lontano possa esserci, eppure riusciamo a costruire un suono, sicuramente coraggioso e fuori degli schemi, eppure dinamico, molto ritmico e pure melodico. È vero, sono due strumenti molto poveri poveri: ascoltandoli insieme, però, non manca nulla».

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