Semafori truccati, chiesti 5 anni di cella

Semafori truccati, chiesti 5 anni di cella

Una tagliola implacabile. Centinaia e centinaia di automobilisti costretti a pagare. Ogni semaforo attraversato con il rosso, una multa. Peccato che, secondo la Procura, fosse praticamente impossibile non cadere nella sanzione. Colpa di quel sistema - il «T-Red», l'apparecchiatura per la rilevazione automatica delle infrazioni semaforiche - che sarebbe stato tarato apposta per colpire chiunque si avventurasse a passare un incrocio con il giallo. Permettendo così ai comuni che l'avevano installato di fare cassa. Il processo è arrivato alle battute finali. E ieri il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ha chiesto per gli otto imputati condanne a pene da 1 a 5 anni di reclusione. La più pesante a carico di Raoul Cairoli, amministratore della società CiTiEsse, che commercializzava invia esclusiva i «T-Red».
Un sistema indispensabile per garantire la sicurezza stradale, spiegavano i sindaci e gli amministratori quando le spietate telecamere comparvero lungo le strade statali e provinciali della regione. In realtà, in base a quanto contestato dai magistrati, nel Comune di Segrate - dov'è partita l'indagine - i semafori lungo la Cassanese sarebbero stati «truccati» al solo scopo di rimpinguare i bilanci dell'amministrazione e delle aziende che li fornivano, e che ricevevano una percentuale sulle multe comminate. Il tutto disponendo una durata di pochi secondi per il giallo, così che gli sventurati automobilisti non avessero il tempo necessario per reagire con una frenata alla comparsa del rosso, finendo per essere immortalati dalla telecamera. Un sistema che ha portato nelle casse di Segrate (secondo gli inquirenti, indebitamente) qualcosa come 2,4 milioni di euro. «È evidente - sottolineavano gli investigatori della Guardia di finanza nelle informative consegnate in Procura - che lo scopo per il quale si vuole installare la telecamera non è la sicurezza, ma puramente uno scopo economico per l'Ente e le ditte private».
Negli altri 34 Comuni coinvolti - 14 dei quali sono in Lombardia - sotto accusa ci sono invece le presunte irregolarità nell'assegnazione delle gare con cui sono state assegnate alle società «Scae spa» e «CiTiEsse» l'installazione e la gestione dei T-red. «Tra me e altri imprenditori - aveva messo a verbale Cairoli - c'era un accordo: ogni società avrebbe dovuto essere favorita per le gare bandite dai Comuni in relazione alla fornitura delle apparecchiature». È l'«accordo di zona». Cairoli lo spiega così. «Ognuna di queste società opera nel proprio ambito territoriale, nel senso che per le gare indette dai Comuni che ricadono in tale ambito ci accordiamo per favorire la ditta tra queste che opera su quel territorio». Quindi, «le altre ditte con cui c'è l'accordo partecipano alla gara stando attente a fare un'offerta più alta di quella della società che vogliamo favorire».


Il processo è a carico di 33 persone tra sindaci, comandanti di polizia locale, funzionari comunali e amministratori accusati a vario titolo di associazione per delinquere, abuso d'ufficio, turbata libertà degli incanti, subappalto irregolare. Contro di loro si sono costituiti parte civile un centinaio di automobilisti, oltre al Codacons e al Comune di Seveso.

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