Per la sua ultima sfilata ha fatto indossare a tutti una mantella impermeabile per ripararsi dai getti d'acqua. Altre volte ha mandato in scena uomini praticamente nudi, donne che caricavano sulle spalle altre donne, modelle-non modelle che danzavano balli tribali. Forse non tutti conoscono Rick Owens, ma il suo lavoro, le sue sfilate metaforiche e la sua moda hanno fatto scuola. Per lui è persino stato creato un nuovo vocabolo: «glunge», crasi di glamour e grunge, come i vestiti che lo stilista disegna dal 1994. Ora tutto il suo mondo è stato racchiuso in una mostra in Triennale (fino al 25 marzo), «Rick Owens. Subhuman inhuman superhuman», progettata, allestita e curata dallo stesso designer insieme a Eleonora Fiorani. Che racconta: «Per la prima volta abbiamo messo insieme la sua progettazione di design e di moda. Si spazia dalla preistoria al glamour, anche se uno degli aggettivi chiave della mostra è gentile: la forza racchiusa negli abiti e nell'installazione alla fine sfocia nella grazia». Così, la curva della Triennale è attraversata da una maxi scultura informe nera «che rappresenta un paesaggio dell'origine», manipolata dallo stesso Owens impastando sabbia del Mediterraneo e cemento insieme ai gigli e ai suoi capelli, emblema del lavoro dello stilista.
Una maxi installazione che attraversa lo spazio dove svettano 100 manichini (anche questi progettati da lui), avvolti nei suoi abiti architettonici. «I vestiti che creo sono la mia autobiografia, rappresentano la calma elegante a cui aspiro e i danni che ho fatto lungo la strada», dice Owens.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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