Si uccide in negozio: «Sono un fallito»

Si uccide in negozio: «Sono un fallito»

Troppi debiti. E nessuna possibilità di farvi fronte, di pagare o anche solo di temporeggiare con chi quel denaro lo pretendeva probabilmente ormai da un po'. Questo è quel che ha spiegato nella sua lettera d'addio alla famiglia, prima di togliersi la vita, Luciano M., 59 anni, milanese, elettricista e titolare in via Zuretti di un piccolo negozio dove vendeva impianti audiovisivi e di videosorveglianza e materiale multimediale con il quale riforniva anche congressi, fiere e manifestazioni. L'uomo l'ha fatta finita venerdì impiccandosi con una corda d'alpinismo a una scala di uno scantinato dove aveva negozio e magazzino, a due passi da casa sua, in viale Fulvio Testi. A trovarlo è stata la moglie Cinzia che il suicida ha salutato, insieme all'unica loro figlia, in una delle due missive scritte prima di togliersi la vita. Nell'altro messaggio, indirizzato sempre ai famigliari, l'uomo ha lasciato le sue ultime volontà. Scusandosi per il gesto estremo compiuto, Luciano M. ha voluto consigliare alle sue due donne come sbrigare le ultime formalità lavorative che lo riguardavano e continuare ad andare avanti.
Ma veniamo all'accaduto. Poco dopo le 20 di venerdì la signora Cinzia, nel suo appartamento di via Pianell, comincia a preoccuparsi. Il marito Luciano, infatti, è in ritardo rispetto al suo tran tran quotidiano. Non solo non è ancora tornato dal lavoro ma non risponde né al cellulare né al telefono fisso. La donna, che sa delle crescenti difficoltà economiche del marito ed è da tempo molto provata da questa situazione che non sembra avere vie d'uscita, presagendo qualcosa di brutto, chiama allora in aiuto un amico di famiglia. Insieme i due si recano nel magazzino dell'elettricista che si trova sempre in viale Testi e poco lontano da casa. Temono il peggio, ma non vogliono nemmeno pensare a un'eventualità tragica, cercano di scacciare quel pensiero in ogni modo. Tuttavia l'angoscia aumenta quando, giunti davanti alla porta dello scantinato, i due la trovano chiusa dall'interno. Chiamano Luciano, urlano, battono i pugni contro l'ingresso, poi si decidono a usare una chiave in possesso della donna. Una volta all'interno del magazzino la scena che si trovano davanti è agghiacciante: l'elettricista è appeso alla scala, con un cappio stretto attorno al collo. L'amico della coppia corre verso il poveretto. E, convinto che Luciano M. possa essere ancora vivo, che si possa fare ancora qualcosa per salvarlo, intima alla moglie di trovare delle forbici per recidere il più in fretta possibile quella corda. La donna cerca febbrilmente le cesoie, le trova, le allunga all'amico che, tenendo sollevato il corpo di Luciano, taglia il cappio stretto al collo. Purtroppo, però, è tardi: il 59enne è già morto.
Disperati, Cinzia e l'amico di famiglia chiamano la polizia. Quando l'equipaggio di una volante giunge sul posto il cadavere è già stato adagiato sul pavimento dello scantinato. Sul luogo ci sono anche le due lettere che vengono esaminate anche dagli uomini della questura.
Lo scorso anno, a maggio, a causa della crisi economica e dei debiti accumulati, nel giro di 48 ore si tolsero la vita sei uomini. Uno di loro, 60enne, era un milanese titolare di un'impresa in difficoltà da qualche tempo. Dei passanti lo trovarono impiccato nel parco delle Groane, a Cesate e avvertirono i carabinieri della compagnia di Rho. Anche lui, come Luciano M.

, aveva lasciato un biglietto per spiegare che non era in grado di far fronte ai troppi debiti accumulati.
Un mese prima, stavolta a Milano, era toccata a un camionista di 51 anni. Anche lui si era impiccato nella sua cantina del condominio dopo aver perso il posto di lavoro.

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