Il dirigente del Pirellone, sentito dai pm - prova a spiegarla così. «L'associazione autocertifica i dati di bilancio, però noi non abbiamo effettuato nessun tipo di controllo, non entriamo nel merito del bilancio, prendiamo atto di quello che viene autocertificato dall'associazione sulla base delle indicazioni verbali che mi sono giunte dalla dirigenza in Regione». Ed è anche così, saltanto qualche verifica, che i soldi pubblici avrebbero preso il volo. Quasi 800mila euro, di cui i vertici di Anpas Lombardia - la costola regionale dell'associazione nazionale pubbliche assistenze - si sarebbero appropriati senza averne titolo. Ed è la cifra che, ieri, i finanzieri del comando provinciale hanno bloccato sequestrando i conti correnti riconducibili all'ente. Mentre Maurizio Ampollini ed Ezio Mori, rispettivamente presidente e direttore di Anpas Lombardia, sono stati entrambi indagati con le accuse di peculato e falso.
Nel decreto di sequestro, al giudice per le indagini preliminari Maria Grazia Domanico bastano poche parole per chiarire il nodo della vicenda. «Come da statuto, l'Anpas è il movimento delle pubbliche assistenze che fonda le sue attività sul volontariato, senza fini di lucro neppure indiretto». Le indagini della Gdf - coordinate dal pubblico ministero Letizia Mannella e dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo - hanno invece «evidenziato come viceversa Anpas Lombardia abbia svolto un'attività squisitamente imprenditoriale, non suscettibile di essere qualificata» come associazione di volontariato, e «con l'ulteriore conseguenza che le somme affluite sui conti dell'ente sono da considerarsi ricavi», avendo percepito «indebitamente dagli enti pubblici ingenti somme di denaro, a seguito di convenzioni». In totale, 774mila e 261 euro.
L'accusa di falso, secondo gli inquirenti, sta nella scorretta comunicazione al registro regionale del volontariato. Anpas Lombardia avrebbe cioè indicato come numero di volontari - indispensabile per accedere ai rimborsi pubblici - la somma di tutti i volontari delle proprie associazioni aderenti (le varie «Croci» che operano sul territorio), dichiarando invece un numero di dipendenti inferiore a quello effettivamente impiegato. L'ente poi - e da qui nasce l'accusa di peculato - avrebbe trattenuto per sè i 775mila euro a titolo di oneri di rendicontazione per gli anni 2008 e 2011, in danno di varie aziende ospedaliere: dal Niguarda (136mila euro) al San Gerardo di Monza (29mila), dal San Matteo di Pavia (11mila euro) agli Ospedali Civili di Brescia (48mila) o ai Riuniti di Bergamo (oltre 45mila).
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