Lo sport è in ginocchio: un impianto su cinque rischia di non aprire più

Un settore da 200mila posti in Lombardia. Il presidente di Arisa: "Servono aiuti veri"

Lo sport è in ginocchio: un impianto su cinque rischia di non aprire più

Un impianto su cinque potrebbe non riaprire più. Il mondo dello sport è in ginocchio, sul punto di dichiarare forfait. Non ci sono polemiche né rotture, non c'è negazionismo o protesta. Solo la civile rappresentazione di un allarme: «Ci fermiamo per il bene di tutti, ma senza aiuti concreti e adeguati molti rischiano di fermarsi per sempre». Vale per lo sport dilettantistico e di base, e vale per il mondo delle palestre, delle piscine e degli impianti sportivi, un settore economico di tutto rispetto che - solo contando i tecnici dà lavoro, per lo più in forma di collaborazione, a un milione di persone in Italia, 200mila circa in Lombardia.

«Abbiamo risentito in modo pesante del primo lockdown - spiega Marco Contardi, presidente di Arisa (l'Associazione regionale imprese dello sport e delle arti del benessere fisico aderente alla Confcommercio milanese) - abbiamo chiuso subito, il 22 febbraio, per poi riaprire lentamente, il 10 maggio. Poi è arrivata l'estate. Siamo tornati a settembre e il mondo degli impianti, il mondo sportivo, si è attivato per mettere in sicurezza gli impianti, dalle scuole calcio fino al top delle palestre e delle piscine. Tutti si sono attivati, sanificando gli spogliatoi, lavorando sugli ingressi e sul distanziamento. Le persone erano molto restie e abbiamo fatto tutti una gran fatica, siamo riusciti a riprendere quota ma l'emergenza ha cominciato a ripartire e ci è arrivata questa seconda mazzata».

Il 31 novembre palestre e centri sportivi hanno simbolicamente anticipato il «funerale» al settore, con un flash mob al cimitero monumentale. «Non per macabra ironia - ha spiegato Contardi - ma per meglio rappresentare quello che, con le chiusure Covid, accadrà al nostro comparto, non nelle prossime settimane, ma nei prossimi giorni».

Amarezza e preoccupazioni serpeggiano fra gli imprenditori e i tecnici: «Oltretutto non abbiamo tollerato le esternazioni secondo le quali per qualcuno inadempiente è stato chiuso tutto il settore. In Lombardia ci sono stati moltissimi controlli dei Nas, ed è sempre stato riscontrato tutto a norma, qualcuno addirittura ha ricevuto complimenti perché andava anche oltre il dovuto con le sue misure».

La categoria non contesta l'entità dell'emergenza o la necessità di uno stop, il punto è l'impatto economico dello stop e delle misure che dovrebbero compensarlo. «Non si può non fermarsi - ammette Contardi - ma chiediamo aiuti concreti. Nel decreto Ristori 1 si metteva in relazione gli incassi di aprile 2020 con aprile 2019, un criterio troppo aleatorio, senza senso, poco attento e poco rispettoso. Ora c'è stata una rivisitazione ma serve un aiuto concreto e serio. Quel che si può fare non lo so - aggiunge - ma so ciò di cui c'è bisogno. Ci sono piscine che hanno dovuto svuotare le vasche un'altra volta, è una situazione molto difficile, e lo stesso vale per il calcio, la pallavolo, tutto». I collaboratori hanno percepito 800 euro di indennità, ma chi al momento non ha sostegni veri è l'imprenditore.

«Tutti i settori economici sono in ginocchio - osserva Contardi - ma noi abbiamo margini più ridotti, sarà più lenta e più dura per noi la risalita. Vedremo il 3 dicembre, ma con questa situazione si rischia che molti non riaprano, il 20%. Il mondo dello sport è spesso sottovalutato, trascurato, se non sotto elezioni».

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