La strage Moro e quelle Brigate mai più state «sedicenti» rosse

Era mattina di compito in classe. Il "compagno" dei picchetti ordinò di uscire subito dall'aula

La strage Moro e quelle Brigate  mai più state «sedicenti» rosse

Una storia italiana. Primo anno di liceo scientifico, compito in classe, versione di latino. Penna, foglio protocollo e «IL Castiglioni-Mariotti» sul banco.

In mano il foglio con il testo da tradurre: Cicerone, non sembra inaffrontabile. È la seconda prova del secondo quadrimestre, c'è il 7 del primo da confermare o - chissà mai - da migliorare. Dai, che stamattina ce la caviamo bene.

E pure in fretta. Ma quando cominci a costruire la frase, martoriando con i denti il tappino della biro, si spalanca improvvisamente la porta che sbatte con violenza contro la parete con un grande frastuono.

Compare uno «di quinta», uno di quelli che dirigono «i picchetti dei compagni». Un figlio di papà, dal cognome famoso. Uno che sta con le «zecche» dal lunedì al giovedì, perché al venerdì va a sciare a Courma con la famiglia. Uno che si finge a proprio agio tra i proletari con l'eschimo e le finte Clark's semi aperte sulla punta, ma veste bene, con il cache-col sotto la camicia inamidata. È belloccio, e lo sa. Gioca a fare il leader del «movimento», ma ho la certezza che lo faccia più perché gli agevola i cedimenti delle ragazzine adoranti che per reale interpretazione del libretto rosso.

Non so ancora se mi fa più o meno schifo delle «zecche» originali. In quel momento so solo che starò «dall'altra parte».

«Tutti fuori - grida in modo perentorio - hanno rapito Moro».

In quel momento cambia la storia e ne hai la percezione. Capisci subito di essere testimone di qualcosa per cui nulla sarà più come prima.

Chissà, forse anche la mia definitiva piega verso la vita politica prende una accelerazione da quell'episodio.

Da quel momento, anche il più infame maitre-a-penser non potrà più dire che le Brigate sono «sedicenti» rosse.

Nessuno potrà più nascondere che il terrorismo è cresciuto nella culla di università e cellule sindacali, vezzeggiato ed alimentato dall'intelligentja di sinistra. Quella che poi sarebbe sfiorita, diventando il modello per le feste romane della Grande bellezza di Sorrentino.

Oggi sono quarant'anni. Per onestà intellettuale confesso che, verso la vittima, non ho mai provato simpatia alcuna; né prima, né durante, né dopo il tragico epilogo del rapimento.

Ma se, a quindici anni, mi avessero detto che oggi gli assassini sarebbero stati - in libertà - ospitati come star televisive, avrei dato di matto.

E tutto sommato, oggi, reagisco come il ragazzino di allora...

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