Claudio Mencacci, direttore Dipartimento Neuroscienze e Salute mentale del Fatebenefratelli, come spiega il mutato atteggiamento verso i medici, passati da eroi a oggetto di rabbia e denunce?
«Alla pandemia reale seguono sempre pandemia emotiva ed emergenza economica. L'emergenza giudiziaria fa parte dell'evoluzione del modo di affrontare situazioni critiche. Siamo passati dall'altruismo e dall'identificazione con il gruppo a diffidenza e rancore».
Come ci si arriva?
«L'andamento di questa seconda ondata va dalla paura alla negazione. Il passaggio fondamentale sta nel rendersi conto di dover affrontare una situazione di stress che durerà. Questo genera una crisi della salute e dell'economia e una riduzione della capacità di resilienza».
Cosa significa?
«Il 63 per cento degli italiani ha sofferto di disturbi emotivi importanti superiore ai 15 giorni: dalla paura agli attacchi di panico, alterazione del sonno e depressione. Lo studio pubblicato oggi su Lancet mostra come la solitudine sia causa di un quinto dei casi di depressione tra gli over 50. Le persone hanno la percezione della solitudine, che è diversa e più profonda dell'isolamento sociale. La riduzione progressiva dei contatti ha provocato aumento di stress che ha come fattore principale l'isolamento, la solitudine e la percezione del pericolo che aumenta venendo meno il fattore protettivo più importante: la solidarietà».
Ci spiega ancora?
«Dalla ricerca emerge come non è tanto il numero dei contatti sociali di una persona o il tempo trascorso in compagnia a incidere, quanto la percezione di sentirsi soli. Venendo meno il senso di vicinanza, si arriva all'esplosione dell'individualismo, fenomeno che rinforza il senso di solitudine».
Senso di solitudine che attanaglia anche i medici...
«Certamente, il personale sanitario in questo momento è più provato, sa che l'emergenza andrà avanti mesi e si trova all'improvviso senza un supporto. Si sente costantemente minacciato dal rischio di infettarsi e dall'altra parte di venire denunciato. Questa situazione non aiuta il lavoro dei medici. Anzi».
I medici contestano il comportamento molto poco responsabile dei cittadini, questa volta non giustificabile con il non capire cosa stia succedendo.
«C'è una sorta di incredibile attrazione verso il gruppo, per cui si esce per controllare se c'è gente in giro. A Milano, Napoli, Roma lo stesso fenomeno»
Venendo allo scontro generazionale, i ragazzi in discoteca quest'estate o che si ritrovavano la sera nelle piazze sono stati investiti da un'ondata di rabbia e di accuse, non dovute però solo ai loro comportamenti. Dietro ai ragazzini ci sono i genitori.
«Nell'ultimo periodo ciò che si osserva è che chi ci espone al pericolo sono le persone che conosciamo».
I contagi ora si diffondono in famiglia.
«Appunto, il nostro cervello sociale tende a selezionare un gruppo di persone per affinità, amicizia, sentimenti, ideologia che percepiamo come non pericolose. L'attenzione e la prudenza si abbassano quando ci troviamo in loro compagnia, che siano amici o familiari. L'umanità da sempre crede che far parte della stessa tribù ci aiuti, ma ora più che mai scopriamo che non è così. Tutti siamo potenziali untori, ma chi percepiamo come pericoloso è lo sconosciuto. Nel momento in cui lo sconosciuto ci richiama a un comportamento prudenziale, in nome del rispetto reciproco, viene percepito come un'intrusione. È la fine del legame di solidarietà»
Che conclusioni possiamo trarre?
«Il distanziamento è un'esperienza inedita: dobbiamo imparare un nuovo alfabeto, a gestire meglio la nostra emotività e a tessere le nuove maglie della nostra società».
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