Sul podio il wagneriano che odia l'islam e rimpiange Federico II

Domani la «bacchetta scomoda» Thielemann I «Berliner» lo rifiutarono per le idee politiche

Il Teatro alla Scala di Milano
Il Teatro alla Scala di Milano

Che dire di un direttore d'orchestra che tiene il busto di Federico il Grande sulla scrivania? Risposta. È un omaggio a un re illuminato, filosofo e musicista, per il quale Bach scrisse uno dei suoi capolavori (l'Offerta musicale). Allo stesso tempo, il re di Prussia fu artefice di una politica estera molto aggressiva, dichiaratamente pangermanica. Il busto sta sulla scrivania del direttore d'orchestra Christian Thielemann (1959), il numero uno sul mercato tedesco. Un berlinese puro sangue, prussiano fino all'ultima cellula sebbene, per la legge del contrappasso, i Berliner Philharmoniker non l'abbiano voluto sul loro podio come successore di Symon Rattle poiché troppo conservatore, islamofobo, reazionario. Una bacchetta proibita insomma. Tuttavia a tacere della fama di artista scomodo che lo precede, Thielemann è un fior di direttore. Per questo non è da perdere il concerto che domani dirige alla Scala, alla testa della Sächsische Staatskapelle Dresden. In programma, il Concerto n. 1 di Ludwig van Beethoven e la Sinfonia n. 1 di Anton Bruckner. Al pianoforte, Rudolf Buchbinder: a detta di parte della critica, un beethoveniano votato. Certo: un Beethoven marmoreo, de gustibus. Prima di Thielemann, l'orchestra sinfonica di Dresda è stata condotta dal nostro Fabio Luisi. È stata fondata nel 1548, e figura dunque tra le più antiche, oltre che apprezzate, d'Europa. Thielemann è cresciuto sotto l'ala di Herbert von Karajan, ha diretto stabilmente l'orchestra di Norimberga, quindi la Deutsche Oper, la Filarmonica di Monaco, e dal 2012 è alla testa della Sächsische Staatskapelle di Dresda nonché direttore artistico del Festival di Pasqua di Salisburgo, di cui la Staatskapelle è l'orchestra stabile. Altro suo punto fermo è il festival di Bayreuth dove firma una produzione all'anno. Di fatto è considerato un dio in Wagner. Come si accennava, la stampa tedesca ne ha sempre parlato come direttore politicamente poco sostenibile, ne scrisse lungamente durante le faticose elezioni del successore di Rattle. Thielemann è uno che va dritto per la sua strada. Dopo la strage di Charlie Hebdo, in un'intervista bocciò apertamente la «correttezza politica». E alla domanda se l'Islam appartenesse alla Germania, rispose netto: «Forse un giorno la cristianità apparterrà alla Turchia e l'ebraismo al mondo arabo. Ma fino ad allora dobbiamo poter rispondere di no, senza passare per fascistoidi, populisti di destra o intolleranti». Thielemann? Un caratteraccio, sbotta chi si è trovato a lavorare con lui.

Sicuramente è meno accomodante del collega Gustavo Dudamel, estroverso e solare, sbocciato grazie a El Sistema di Antonio Abreu, in Venezuela. Durante la fase di sboccio e affermazione, fu un convinto ambasciatore del Venezuela di Hugo Chavez, lo ha sostenuto fino in fondo, fino alla direzione d'orchestra ai funerali di Stato.

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