La trattoria milanese resiste alla pigrizia e ai sapori etnici

Viaggio fra i ristoranti che cucinano i piatti più tipici tra locali della tradizione e concorrenza delle «griffe»

La trattoria milanese resiste alla pigrizia e ai sapori etnici

Il Milanese Imbruttito popolarissimo sito dedicato alla città e ai suoi abitanti sul tema ha fatto votare i fan: quale è il locale «best milanese in Milan», perché citiamo integralmente «fra veggie, burgers, matcha e jappi vari, la trattoria comeunavolta è diventata specie in via d'estinzione».

Detto che la votazione ha premiato in ordine crescente Arlati, El Bechée (un po' forzatura, visto che è una griglieria dove si cucinano pure hamburger), Trattoria Milanese, El Brellin e Antica Trattoria della Pesa, in effetti non sono molti gli approdi di pura cucina milanese. Non è solo l'internazionalità crescente che si respira sotto la Madonnina, semmai è la poca voglia di impegnarsi sul tempo, anche se va detto che il nuovo secolo ha portato una ripresa dopo la pioggia di rucola sulla costoletta dei decenni precedenti. In più, va ammesso che è difficile, se non impossibile, concentrare un locale esclusivamente sui classici milanesi e lombardi: logica di mercato vuole che ci siano dei piatti all'interno di un menu italiano o «settentrionale».

Certo, ci sono eccezioni in nome della «purezza»: ortodossa e davvero «F205» come codice fiscale e nome comandano è la già citata Trattoria milanese di via Santa Marta, istituzione delle Cinque Vie dal 1933. Qui il Giuseppe Villa (con l'articolo, altrimenti che milanese sarebbe?) porta avanti la religione dei mondeghili di verza, del riso al salto e della sacra cotoletta con l'osso, con variazioni fra cassoeula, bollito e immancabile zabaione. Da citare anche la Trattoria Madonnina in Ticinese, Osteria alla Grande a Baggio, Osteria dell'Acquabella in Porta Romana, Antica Trattoria Galeria all'Ortica, Da Pino (trattoria-bottiglieria, come si diceva un tempo) in centro e La Bettola di Piero in via Orti, anche se in quest'ultimo caso c'è una «contaminazione» con la cucina piemontese.

Il menu «di qua e di là dal Ticino» è sempre stato il plus di Masuelli San Marco, luogo di cibo e vino dal 1921: i classici ci sono tutti, noi siamo per l'ossobuco con il risotto (e non viceversa, sembra sottigliezza ma non lo è). Un posto che merita per i piatti e l'idea è sicuramente Testina, a pochi metri dalla chiesa delle Abbadesse: sembra un posto antico - tovaglie a quadri, sedie vintage, mattoni e travi a vista ma in realtà ha pochi anni: frutto dell'impegno di Massimo Motola, patron che si è fatto le ossa alla Pesa di via Fantoni, trattoria di San Siro (tuttora attiva) che è stata fondamentale a fine anni '90 per il rilancio della cucina milanese. Insegna simpatica (è la tipica esclamazione meneghina) e menu canonico: riso al salto e rustin negàa sono da applausi.

Non molto lontano da qui c'è un altro baluardo decisamente vintage per arredo e gestione quale l'Altra Isola di Gianni Borelli (che Brera chiamava «Monsignore») dove si può partire con l'insalata di nervetti e chiudere con uno zabaione caldo. Sulla milanesità, compresi i nomi dei piatti in dialetto, punta da sempre il Garghet di via Selvanesco, fuoriporta in città: arcinota è la sua costoletta «uregia d'elefant» bassissima ma c'è anche la versione più piccola e alta, con l'osso. Già, la costoletta che più del risotto giallo resta l'emblema della Milano a tavola: in questo caso, non vorremmo passare per snob, ma siamo convinti che le migliori siano quelle «firmate» in posti dove si mangia di tutto, pesce compreso.

Qualche esempio: Trattoria del Nuovo Macello della famiglia Traversone, il Liberty di Andrea Provenziani, Osteria del Brunello, Daniel Canzian, Chic & Quick (il bistrot di Claudio Sadler), il suggestivo Ratanà di Cesare Battisti o l'Asola sulla sommità del Brian & Barry Building, in San Babila, dove il regista è Matteo Torretta. In qualche caso dell'osteria milanese c'è poco o nulla, però per una grande costoletta si può non essere integralisti.

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