«Il professor Dorfles non c'è». Veramente avevamo un appuntamento, replico alla gentile signora che mi introduce in un soggiorno traboccante di libri e di capolavori del Novecento. «Tra poco sarà di ritorno - fa lei - è andato a fare un po' di spesa». A quasi 106 anni di età, il padre della critica d'arte e memoria vivente dell'intero Novecento, è incredibilmente in ottima forma. E, oltre a non rinunciare alla sua passeggiata mattutina tra i negozi di Porta Venezia, ha trovato anche la forza (e il tempo) di pubblicare il suo ultimo libro intitolato «Gli artisti che ho incontrato» edito da Skira. Altro che libro, trattasi di un tomo enciclopedico di 864 pagine che raccoglie articoli e testi critici sui maggiori protagonisti dell'arte dagli anni Trenta ad oggi.
Molti dei quali scoperti e lanciati proprio da lei, professore...
«Il tempo è galantuomo e oggi posso dire di avere le prove che molti di quegli artisti che conobbi nel Dopoguerra e in cui credetti hanno fatto davvero la storia. E questo vuol essere davvero un libro storico, non critico stavolta».
Di quali nomi va più orgoglioso?
«Beh, primo tra tutti Lucio Fontana. Non dico proprio di averlo scoperto io, ma di sicuro sono stato il primo a dare un'importanza storica a quell'argentino sbarcato a Milano che i più consideravano soltanto un personaggio originale. Allora non aveva assolutamente mercato. Poi lanciai gli altri grandi esponenti del movimento spazialista, come Enrico Castellani e Agostino Bonalumi».
Lei è sempre stato un anticipatore. Quali doti servono per capire se si ha di fronte un vero artista o una meteora?
«Occorrono tre qualità imprescindibili: l'intuito, il gusto e ovviamente la cultura. Senza una buona preparazione storica è difficile capire se un autore sta dicendo davvero qualcosa di diverso».
Forse serve anche un pizzico di fortuna. È vero che Bonalumi glielo segnalò il suo dentista?
«Vero. Un giorno il dottore mi disse di avere un artista vicino di casa che gli sembrava piuttosto originale. Andai a trovarlo e devo dire che aveva ragione...».
Nel suo libro sono raccolti articoli su tutti i grandi maestri del '900, da Boccioni all'Arte Povera. Fu tra i primi in Italia anche a schierarsi in favore dei Futuristi.
«Manifestai subito un grande interesse per l'aeropittura futurista e scrissi diversi articoli all'inizio degli anni Trenta. Non li scopersi io, ovviamente, ma le assicuro che in quel periodo c'erano illustri personaggi che rinnegavano quegli artisti, in primis Margherita Sarfatti».
Com'era il suo rapporto con gli artisti? In fondo artista era anche lei...
«Allora non osavo espormi come pittore, anche se avevo iniziato molto presto e nel '48 fondai il Movimento Arte Concreta con Munari, Soldati e Monnet. Di sicuro nella mia vita la pittura è venuta prima della critica, viceversa non avrei trovato il coraggio...».
Con quali artisti ci fu vera amicizia?
«Soprattutto con Lucio Fontana e Fausto Melotti, che ritengo fossero gli artisti con la personalità più spiccata e assolutamente inconfondibili. Erano gli anni Sessanta, un periodo magico per la Milano culturale. Mi ci ero appena trasferito da Trieste per insegnare all'Università».
E non se n'è mai più andato.
«Non c'è nessun altra città italiana dove avrei potuto vivere perchè è l'unica che è sempre riuscita a fondere sviluppo economico, sociologico e artistico».
La trova anche bella?
«Non come Roma o Napoli. Milano ha forse la colpa di non aver saputo sfruttare come meritavano i grandi architetti che ha generato: penso a Vittoriano Viganò, a Franco Albini, a BBPR. È andata bene solo a Gio Ponti.»
Porta Nuova le piace?
«Trovo positivo aver puntato su una city di grattacieli, ma non tutti mi fanno impazzire. Salvo certamente Palazzo Lombardia, il Bosco verticale e la torre Unicredit».
Se
avesse il potere di cancellare un po' di brutta urbanistica che farebbe?«Eliminerei tre quarti della città (ride), ma sicuramente lascerei in piedi il quadrilatero liberty che va da piazza Serbelloni a via Vivaio...».
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