Un ministro non fa satira ma la satira non si tocca

Un ministro, ma anche qualsiasi personaggio pubblico, deve comportarsi secondo protocollo, e il rispetto delle regole gli insegnerà quanto la forma sia anche sostanza. Non mi piacciono mai i gesti plateali all'italiota, che siano magliette della salute inopinatamente mostrate in tv, maiali sciolti davanti a una moschea, richiami a fucili di qualunque temperatura. Chi vuole giocare, faccia un passo indietro, un lungo passo. Naturalmente ci sono gestacci che coinvolgono invece forma, sostanza, qualità e affidabilità dei leader. Non paragonerei mai le intemperanze di Roberto Calderoli con la passeggiata sottobraccio a un tipaccio di Hamas del ministro degli Esteri di Romano Prodi, Massimo D'Alema. In quel caso l'errore è stato politico, aggravato dall'arroganza e dalla sfida. Se in Italia non è diventato uno scandalo irrefrenabile, si deve solo al doppio standard sui palestinesi che affligge il Parlamento, prima che i governi, e pure al vizio non solo della sinistra ma anche di una parte del centro destra di coltivare simpatie da terza internazionale. Per essere chiari, Calderoli si dimise, su forte pressione del presidente Ciampi, D'Alema non ci ha nemmeno pensato, anche perché mi riesce difficile immaginare su di lui una forte pressione di Giorgio Napolitano.
Detto questo, resta, e nuoce, la stessa confusione, che si ripete oggi in risposta all'ennesima provocazione dei Gheddafi, sulle famose vignette danesi, che non sono anti Islam, sono satira sull'Islam. Fu un gesto di coraggio, pagato a caro prezzo, di libera stampa, in un Paese che cerca di risollevarsi da tanti anni di relativismo culturale. Provo a raccontarlo per come è veramente andato.
È la fine del 2005. Lo scrittore danese Kare Bluitgen denuncia il fatto di non essere riuscito a trovare un artista disposto a illustrare il suo libro, per bambini, sulla vita di Maometto: tutti hanno paura della vendetta degli estremisti islamici. Allora il quotidiano Jillands Posten lancia un concorso per delle vignette satiriche su Maometto che illustreranno un'inchiesta sull'autocensura e la libertà di espressione. Le 12 vignette ricevute vengono pubblicate il 30 settembre. Una ritrae Maometto con un turbante a forma di bomba con la miccia accesa, il legame tra islam e terrorismo. Forse a ispirarla è il leader del gruppo estremista islamico Hizb al-Tahrir, Fadi Abdullatif, che dalla Danimarca ha incitato a uccidere i ministri del governo per la partecipazione militare danese in Irak, e, come al solito, a massacrare gli ebrei. È satira forte, ma se vi immaginate la volgarità e il vilipendio alla Vauro, no, allora è acqua fresca. Solo secondo gli integralisti, in fondo, il profeta non si può raffigurare.
Il settimanale norvegese Magazent, in segno di solidarietà con Jillands Posten, pubblica pure le vignette incriminate. Per qualche mese tutto tace, poi, ordinata direttamente dall'Unione internazionale degli ulema, un conclave di 300 teologi islamici affiliati ai Fratelli Musulmani, parte da Dublino la strategia che deve costringere i due Paesi europei a «rinsavire e scusarsi per il male causato ai musulmani». La fatwa, condanna a morte, viene emessa per i vignettisti e i direttori dei due giornali. Da allora vivono sotto scorta ed è stato sventato un attentato contro uno di loro.

Tutti i governi musulmani formalmente protestano e annunciano «la reazione nei Paesi islamici e nelle comunità musulmane in Europa», minaccia che non mi risulta sia stata impugnata da alcun governo occidentale.
Naturalmente nei Paesi musulmani si fa apertamente apologia di terrorismo, ed è radicata la cultura dell'odio contro gli ebrei e i cristiani. Dovremmo scriverne di più.
Maria Giovanna Maglie

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