Miracolo del calcio: Europa riunita e spread dimenticato

Un continente vecchio e malato è in grado di dimostrare di essere ancora vivo, forte, vincente. Almeno con il pallone

Miracolo del calcio:  Europa riunita  e spread dimenticato

Fine dello spread. Al diavolo il default. Bce e Stoxx 600 poi non vi dico. Da domani si gioca a pallone e l’Europa, finalmente per un mese, ritorna unita, da Dublino ad Atene, la moneta è una sola, il football del vecchio continente, il campionato europeo per nazioni, già coppa Henry Delaunay, fondatore della manifestazione. Monsieur Delaunay dopo aver giocato a calcio, decise di fare l’arbitro sempre di football. Un giorno, durante una partita, prese una pallonata in viso, il fischietto gli finì in gola e saltarono due denti, Delaunay comprese che sarebbe stato meglio organizzare il gioco da una scrivania piuttosto che fischiare e correre dietro il pallone, e come segretario della federcalcio francese inventò il torneo nell’anno olimpico 1960.

Da domani, dunque, sedici nazioni parleranno una sola lingua, quella del campo, il calcio riesce a mettere insieme Stati, culture e situazioni diverse, lontane, opposte. La Grecia può guardare in faccia la Germania, basta e avanza per dimenticare il dramma-dracma e pensare al colpo che già le riuscì in Portogallo, guidata proprio da un allenatore tedesco. L’Ucraina parla russo, per legge di Stato contestata, ma deve frequentare idiomi di ogni dove se vuole mostrare un volto diverso da quello oscuro e ambiguo del suo nuovo corso (!?) politico. La Polonia non è soltanto, per fortuna, memoria atroce di Auschwitz. In breve, trentuno partite per scegliere la migliore, senza fare conti con le Banche e i tassi.
Da domani si gioca, sul serio, ultimi fuochi di una stagione forte e lunga. La forza di questo sport sta proprio nella sua capacità di correre sempre in avanti ma reduce da se stesso, nostalgico e, assieme, di tendenza modaiola.

Il campionato europeo è nient’altro che un mondiale senza Argentina, Brasile e Uruguay. Nel senso delle grandi nazioni che hanno segnato la storia del calcio. Per questo ha un suo profondo valore tecnico e un fascino nuovo che gli è stato attribuito nelle ultime edizioni, una su tutte, quella del Novantadue, in Svezia, quando la Danimarca venne ripescata all’ultimo momento per sostituire la Jugoslavia, penalizzata dalla guerra civile. I danesi interruppero le vacanze e vinsero il titolo superando in finale la Germania, smentendo tutte le teorie sulla preparazione e il ritiro rigoroso di ogni torneo. L’Europa, dunque, cerca di ritrovare, nel e con il football, una immagine e una credibilità macchiate e smarrite per colpa di finanze e governi in crisi. Polonia e Ucraina poco hanno a che fare, in verità, con la storia di questo continente, non soltanto calcistico, ma proprio il football consente ai Paesi di margine e di altra origine geopolitica di allinearsi e di giocarsi la carta della rivincita, del riscatto.

Il boicottaggio all’Ucraina, annunciato da alcuni personaggi politici (Hollande, ultimo aggiunto alla comitiva) verrà sicuramente dimenticato e cancellato nel caso di partecipazione alla finale del Paese medesimo. Il campionato d’Europa rilancia la realpolitik, un pragmatismo che viene definito in novanta minuti di partita.
Il calcio, come i Giochi dell’Olimpiade, ritrova ogni tanto il valore antico, non quello mercantile e affaristico con il quale e grazie al quale sopravvive.

L’Europa ne ha bisogno, per un mese frau Merkel, il professor Monti, monsieur Hollande, el doctor Rajoy e i loro quattordici sodali, saranno figure a margine di un continente vecchio, malato ma in grado di dimostrare di essere ancora vivo, forte, vincente.
Almeno con il pallone. Poi, a sera, tornerà lo spread.

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