L'autore lo definisce, nel finale, una «danza circolare in forma d'epistola». L'idea iniziale, dichiarata da Yukio Mishima nella sua «Presentazione dei personaggi», era una serie di «lezioni di scrittura», attraverso un metodo «particolare»: «proporvi le lettere scritte di volta in volta da cinque personaggi che ci forniranno, così come sono, modelli di frase o spunti da prendere a esempio». Ma che In punta di penna, testo finora inedito in Italia e pubblicato da Feltrinelli (che sta riproponendo tutte le opere di Mishima), sia qualcosa di diverso, e di più, di alcune «lezioni di scrittura», si capisce fin dall'entrata in scena dei cinque protagonisti. I quali, più che un escamotage metodologico, sono attori in una pièce, che appaiono e scompaiono dal palcoscenico aprendo e chiudendo i cassetti della trama. Si sigilla una lettera, con la piccola o grande vicenda in essa racchiusa («le lettere sono questo, ognuna un universo a sé» scrive Mishima) e se ne spalanca un'altra, con un altro mondo in cui spiare. Le lettere, come il teatro, in questo libro hanno il potere della vita: insomma, In punta di penna è un gioiellino, molto più che un semplice passatempo letterario, anche se può ricordare certi divertissement settecenteschi. O un classico del genere, come le Relazioni pericolose: perché, in effetti, la signora Kori Mamako, vedova quarantacinquenne, ricorda moltissimo la Marchesa di Merteuil, e il suo stilista/confidente, Yama Tobio, stessa età, una moglie, cinque gatti e cinquecento cravatte, è un po' un Visconte di Valmont, anche se non si può svelare al lettore fino a che punto... Basti dire che, come avverte lo stesso Mishima, «alla fine di tutto, le fila della storia saranno talmente ingarbugliate che sarà difficile districarsi».
Ma, anche questa, è una bugia (o una mezza verità). Non ci si può fidare di nessuno, fra queste lettere scritte In punta di penna: i cinque protagonisti mentono spudoratamente nello scriverle e, peggio ancora, a volte le scrivono con l'intento maligno di ingannare, o di provocare danno; e, quando la menzogna non è intenzionale, continuano a indossare la maschera dell'apparenza, se non altro per conservare la propria dignità. Infatti, al centro di tutto, come sempre, ci sono due faccende: cuore e soldi. E, su questi due punti, i cinque (oltre alla vedova manipolatrice e allo stilista arrogante, una studentessa attraente, uno studente spiantato di regia teatrale e il cugino grassissimo e pigrissimo della studentessa, che si crede un brillante scrittore di lettere...) si arrovellano, si uniscono, bisticciano, si blandiscono, si insultano e si dividono quanto e come avviene nella realtà. Ovvero, continuamente.
Le lettere trasudano gelosia, invidia, avidità, meschinità, cinismo e prepotenza quanto qualsiasi chat fra amanti, o aspiranti tali (almeno uno dei due).
Solo che, a differenza della chat, sono scritte da un maestro: quindi sono anche piene di ironia, giudizi taglienti (per esempio sul teatrante comunista che ha la famiglia benestante che lo sovvenziona) e di una umanità di fondo, nell'osservare le minuzie dei nostri cuori così indecisi, fragili, sempre paurosi di aprirsi e di confessare la verità. Sono lettere piene di umorismo e di cattiveria, di buoni sentimenti e di malvagità. Sotto il velo delle menzogne, insomma, raccontano moltissime verità su di noi. E la trama «ingarbugliata» riserva delle sorprese...
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