Misteri, incontri, tragici incidenti. Il "fuoco segreto" di Julius Evola

Una raccolta di testi rari e lettere mai viste illumina gli interessi del "barone": dalla pittura alla rivolta contro il mondo moderno

Misteri, incontri, tragici incidenti. Il "fuoco segreto" di Julius Evola

È l'11 giugno 1974. Nella torrida aria ferma di un pomeriggio romano, Julius Evola domanda a due persone, lì con lui, qualcosa di inaspettato: «Vestitemi e portatemi alla scrivania». La richiesta è singolare: è da giorni che, in condizioni fisiche sempre più compromesse, non si alza dal letto. Ad ogni modo, il desiderio viene esaudito. Di fronte al tavolo su cui ha scritto trenta e passa libri, il settantaseienne guarda fuori dalla finestra che dà sul Gianicolo. Appoggia le mani sulla sua Olivetti, come nel tentativo di strapparle un'ultima parola, e reclina la testa.

A mezzo secolo dalla sua scomparsa, tutti quegli studi sono ospitati nella collana Opere di Julius Evola, arricchita ora da Fuoco Segreto, la cui struttura ricalca quella dei mitici Cahiers de l'Herne di Dominique De Roux, presentandosi come una collettanea di rarità molte delle quali provenienti dagli archivi della Fondazione J. Evola introdotte da studiosi ed esperti. Risalenti a momenti e occasioni diverse, giungono tutte al cuore di quello che Enzo Erra chiamava «il mistero di Evola», l'enigma di qualcuno che ha fatto di tutto per librarsi al di là della storia, salvo poi scommettere di continuo sulla storia stessa, obbedendo a un interventismo inalterato dal passare dei decenni.

Ne emergono le sfaccettature di una personalità intellettuale complessa, passata senza soluzione di continuità dal dadaismo alla filosofia, dalla metastoria alla metapolitica, dalla storia delle religioni alla critica del costume, documentate da carteggi come quello con il poeta salentino Girolamo Comi, ma anche e soprattutto dalle trentotto lettere spedite all'antroposofo Massimo Scaligero, uno dei pochissimi a cui Evola, al netto di radicali differenze, «dava del tu» da un punto di vista spirituale.

Altri scambi epistolari certificano il raggio d'azione europeo del filosofo, sempre teso ad assegnare un'apertura transnazionale alle proprie attività, «sprovincializzando» ambienti culturali spesso asfittici. Discorso che vale, in particolare, per il mondo germanico e mitteleuropeo, come si legge tra le righe trasmesse a uomini come Walter Heinrich, Wilhelm Stapel e Armin Mohler. Sono tutti legati alla cosiddetta «rivoluzione conservatrice» poi liquidata dal nazionalsocialismo, alfieri di una visione della storia «a quattro dimensioni» e di uno Stato organico allergico al liberalismo americano e al collettivismo sovietico.

Allo stesso movimento appartengono altri due pesi massimi della cultura tedesca presenti in Fuoco Segreto. Il primo è il poeta Gottfried Benn, che per la cronaca revisionò la traduzione tedesca di Rivolta contro il mondo moderno, scrivendone: «Dopo aver letto questo libro, ci si sente trasformati». Il secondo è Ernst Jünger, le cui lettere evocano in realtà un clamoroso «incontro mancato», sia biografico sia intellettuale. Il Barone che poi barone non era, ma è un altro discorso e l'Anarca non si intesero mai, cosa che comunque non ci impedisce di leggere insieme opere come Il trattato del ribelle e Cavalcare la tigre, destinate a un tipo umano deciso a mantenere la propria personalità tra le «rovine» degli anni Cinquanta.

Ci sono poi i materiali artistici, risalenti tanto agli incendiari anni Venti quanto alla maturità di un ex dadaista disposto a cimentarsi in un ultimo corpo-a-corpo con la pittura, tra cui alcuni bozzetti, uno dei quali, con tanto di indicazioni cromatiche, è lo studio preparatorio di una mai realizzata «donna alchemica», da aggiungersi alle tre già note, dipinte sotto l'ascendente di Metafisica del sesso ed esposte al MART di Rovereto nel 2022, su iniziativa di Vittorio Sgarbi.

Seguono scritti inediti o rari, come due voci per la Treccani dedicate alle «apparizioni» e al «senso magico del battesimo», escluse dai curatori dell'Enciclopedia per il loro carattere eterodosso (a differenza di altre, che verranno pubblicate). Un'ulteriore chicca bibliografica è il «manifesto» della rubrica Diorama Filosofico, attiva tra il 1934 e il 1943 sulle colonne de Il Regime Fascista, messo nero su bianco da Evola ma firmato da Roberto Farinacci. Grazie all'interesse del «ras» cremonese e alla mediazione evoliana, sul quotidiano uscirono pezzi di autori come Paul Valéry, René Guénon e il già citato Gottfried Benn. Quale giornale oggi si sognerebbe di ospitare nomi del genere?

A due «capitoli tagliati» di Rivolta e agli articoli dell'introvabile rivista Domani (1956) si aggiungono due altre rarità assolute: il progetto editoriale di un'opera mai pubblicata sulla dimensione «ermetica» dell'erotismo (intitolata significativamente Eros e magia) e un breve saggio di Giovanni Caloggero, uscito nel 1971. Si tratta di uno dei primissimi testi organici sul filosofo, spedito prima della pubblicazione in visione a Evola in persona, il quale lo restituì con tagli, glosse, correzioni e aggiunte. Ebbene, in Fuoco Segreto sono riportate in anastatica proprio quelle bozze.

Molti, infine, i documenti legati al tragico incidente che il 21 giugno 1945 lo costrinse all'immobilità sino alla fine dei suoi giorni. Non solo le lettere a Heinrich, Comi e Scaligero, spedite durante la drammatica ospedalizzazione viennese, ma anche lo scambio epistolare con padre Clemente Rebora, che quando gli propose di andare a Lourdes in cerca di una grazia si sentì rispondere: «Se una grazia dovessi chiedere, sarebbe piuttosto quella di capire il senso che, in sede di spirito, ha ciò che è accaduto; ancor più, di comprendere il perché del mio continuare a vivere. L'incidente è stato come una risposta enigmatica al mio chiedere attraverso l'espormi al pericolo se alla mia vita terrena potesse essere posto un fine».

Per l'anziano filosofo era una questione essenziale. Basta leggere il diario, raccolto sempre in Fuoco Segreto, in cui Henri Hartung annota «a caldo» una serie di colloqui svoltisi a casa Evola negli anni Settanta. L'ultimo appunto si chiude con queste parole: «Gli pongo una domanda sul suo stato di salute e sul suo trauma del 1945, che gli cagionò una paralisi. La risposta è immediata: Morirò quando avrò capito la ragione profonda di quella ferita».

Era il 25 giugno 1971, tre anni prima che Evola giungesse al suo ultimo appuntamento con il destino.

Chissà che le parole mai uscite dalla sua Olivetti, nel torrido pomeriggio romano da cui siamo partiti, non fossero la risposta a questo interrogativo, enigma e chiave di volta di una vita straordinaria.

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