Dopo 13 anni di attese, il Congresso degli Stati Uniti ha ottenuto il via libera dalla Casa Bianca per rilasciare l’ultima capitolo dell’inchiesta sugli attentati alle Torri Gemelle. Il rapporto mantenuto segreto in un bunker del Campidoglio, secondo le speculazioni, avrebbe confermato il collegamento tra alcuni dei dirottatori ed il governo saudita, accuse mai suffragate dalle successive indagini statunitensi sugli attacchi terroristici. Quindici dei 19 dirottatori erano di nazionalità saudita. La maggior parte di loro non parlava un inglese fluente ed avevano poca esperienza con il mondo occidentale. Il Ministro degli Esteri saudita, Adel al-Jubier, poco dopo la pubblicazione delle 28 pagini mancanti della Commissione 9/11 si è detto sollevato affermando che “la cosa sorprendente in queste pagine è che non c’è alcuna sorpresa sul ruolo dell’Arabia Saudita”.
Il documento segreto sugli attacchi dell'11 settembre
Nelle 28 pagine mancanti sono contenuti i nomi di coloro che hanno avuto un contatto, in forma diretta o indiretta, con i dirottatori prima degli attacchi. Alcuni erano diplomatici sauditi. Cinque le principali figure.
Omar al-Bayoumi
Cittadino saudita, ha aiutato due dirottatori in California. Al-Bayoumi ha dichiarato agli investigatori che lui ed un altro uomo hanno aiutato due terroristi (ignorandone il vero ruolo) per alcuni pratiche presso l’ambasciata saudita. In seguito sono andati al ristorante a Culver City. In quel frangente, i due dirottatori si lamentarono di Los Angeles e ricevettero aiuto da Al-Bayoumi a trovare casa a San Diego. Nel File 17, la commissione afferma che “Al-Bayoumi ha ampi legami con il governo saudita e nella comunità musulmana di San Diego. Sospettiamo possa essere un ufficiale dell’intelligence saudita”. La Commissione 9/11 supporta tale teoria riportando alcuni interrogatori. Al-Bayoumi è stato ufficialmente impiegato della Ercan, una filiale della Saudi Civil Aviation Administration. I colleghi di lavoro di al-Bayoumi, però, lo hanno descritto come un dipendente fantasma, notando che era uno dei molti sauditi a libro paga a cui non era richiesta la presenza. Ha lasciato gli Stati Uniti nell’agosto del 2001, settimane prima degli attacchi dell’11 settembre. La Commissione 9/11 rileva che “non conosciamo lo scopo di quel pranzo, ma è candidato improbabile per il coinvolgimento clandestino con gli estremisti islamici”.
Osama Bassnan
Stretto collaboratore di al-Bayoumi, era frequentemente in contatto con i dirottatori. Viveva in un complesso di appartamenti lungo la stessa strada della casa dei terroristi a San Diego. Bassnan, ex dipendente del governo saudita a Washington, ha ricevuto notevoli finanziamenti dalla principessa Haifa al-Faisal, moglie del principe Bandar bin Sultan. Quest’ultimo, ex capo dei servizi segreti in Arabia Saudita, è stato ambasciatore degli Stati Uniti dal 1983 al 2005. Il denaro è stato presumibilmente utilizzato per le cure mediche della moglie di Bassnan. Secondo la Commissione 9/11 “non vi è alcuna prova che il denaro possa essere stato reindirizzato verso il terrorismo”.
Saleh al-Hussayen
Funzionario saudita del Ministero dell’Interno, ha soggiornato nello stesso albergo di Herndon, in Virginia, utilizzato da uno dei dirottatori. "Al-Hussayen ha affermato di non aver mai incontrato i dirottatori, ma l'FBI ha sempre pensato che mentisse. Nonostante gli sforzi per trattenerlo, è stato in grado di lasciare gli Stati Uniti”.
Fahad Al-Thumairy
Imam della moschea King Fahad a Culver City, California. Al-Thumairy è sospettato di aver aiutato due dei dirottatori dopo il loro arrivo a Los Angeles. Era anche un diplomatico accreditato presso il consolato saudita di Los Angeles dal 1996 al 2003. Secondo la Commissione 9/11, al-Thumairy avrebbe inserito i due estremisti nella sua comunità religiosa. L’uomo ha sempre negato di promuovere la jihad e di non aver mai aiutato i dirottatori. Secondo le informazioni declassificate, al-Thumairy ha incontrato presso il consolato saudita, nel febbraio del 2000, Omar al-Bayoumi. Quest’ultimo, cittadino saudita, poco prima dell’incontro ha pranzato con due dirottatori in un ristorane. Al-Thumairy ha sempre negato di conoscere al-Bayoumi, anche se i due sono stati registrati più volte al telefono già a partire dal 1998. La CIA ha inoltre registrato 11 conversazioni avvenute tra il 3 ed il 20 dicembre del 2000. Al-Bayoumi afferma che quelle conversazioni erano di natura esclusivamente religiosa. La Commissione 9/11 conclude il fascicolo su al-Thumairy (parliamo sempre di quello fino ad oggi declassificato) affermando che “nonostante le prove indiziarie, non abbiamo trovato prove che possano collegarlo agli attacchi”. Eppure, in un rapporto datato 19 marzo del 2004, la CIA afferma che Khallad bin Attash, operativo di al-Qaeda e sospettato di essere la mente dell’attacco contro l’USS Cole, avvenuto nello Yemen nell’ottobre del 2000, si trovava a Los Angeles nel giugno del 2000 in compagnia di Fahad al-Thumairy. Il 6 maggio del 2003 al-Thumairy cerca di ritornare negli Stati Uniti, ma il suo accesso è stato negato perché sospettato di essere collegato ad attività terroristiche.
Mohdhar Abdullah
Abdullah ha tradotto dei testi per i due dirottatori e li ha aiutati ad aprire dei conti bancari. Raggiunto più volte dall’FBI, Abdullah ha affermato di essere a conoscenza delle opinioni estremiste dei due dirottatori, ignorandone il fine. Eppure la Commissione 9/11 rileva che “durante una perquisizione dopo gli attentati, nella casa di Abdullah, l’FBI ha rinvenuto un quaderno (appartenente a qualcun altro che resterà ignoto), con riferimenti ad aerei che cadono dal cielo, uccisioni di massa e dirottamenti”. Arrestato subito dopo gli attacchi alle Torre Gemelle, l’uomo ha espresso “odio verso gli Stati Uniti”. Ulteriori intercettazioni ambientali nella cella di Abdullah, hanno dimostrato che l’uomo si vantava con gli altri detenuti di aver conosciuto i dirottatori. E ‘stato espulso nel maggio del 2004 dal procuratore degli Stati Uniti per il Distretto Meridionale della California.
A corredo della pubblicazione, la National Intelligence ha diramato un memorandum: “non ci sono informazioni per indicare che Bayoumi o Bassnan abbiano sostenuto i dirottatori consapevolmente o che fossero ufficiali dei servizi segreti del governo saudita. Sono soltanto speculazioni dei media".
Eppure, nelle 28 pagine pubblicate poche ore fa si rileva che “l’elenco telefonico del terrorista di al-Qaeda Abu Zubaydah, recuperato dalle forze Usa dopo gli attacchi dell’11 settembre durante un raid in Pakistan nel marzo del 2002, conteneva un numero riservato riconducibile ad ASPCOL Corp, ad Aspen, in Colorado. L’ufficio gestiva gli affari della residenza del principe Bandar, all’epoca dei fatti ambasciatore saudita negli Stati Uniti”.
La CIA precisa che “tali tracce non hanno rilevato alcun collegamento diretto”.
Le amministrazioni Bush ed Obama, fino a ieri, si erano rifiutate di declassificare le 28 pagine, sostenendo che il loro rilascio avrebbe messo a repentaglio la sicurezza nazionale. I critici, invece, motivarono tale riluttanza a causa del coinvolgimento dell’Arabia Saudita nell’attacco terroristico di al-Qaeda che ha ucciso quasi 3.000 persone sul suolo americano.
Secondo la CIA “non vi è alcun legame del governo saudita, inteso come stato, istituzioni o funzionari, negli attacchi dell’11 settembre”. Secondo i critici, invece, le 28 pagine si riferiscono principalmente ai finanziatori degli attentati e punterebbero il dito contro l’Arabia Saudita.
Quest’ultima ha sempre negato di aver fornito alcun tipo di supporto ai 19 dirottatori, la maggior parte dei quali erano cittadini sauditi. Riyad, inizialmente, sembrava comunque temere la pubblicazione di quelle 28 pagine. Il Ministro degli Esteri saudita, Adel al-Jubeir, comunicando la posizione del proprio paese, avrebbe minacciato di ritirare tutti i capitali, stimati in miliardi di dollari, investiti nelle attività finanziarie statunitensi. Una quota di 750 miliardi di dollari in titoli del Tesoro ed in altre attività finanziarie americane sul mercato mondiale che l’Arabia Saudita sarebbe disposta a riportare in patria.
La pubblicazione delle 28 pagine, getta nuova luce sulla decisione di classificare il rapporto ad opera dell‘ex presidente George W. Bush. Quest’ultimo avrebbe agito per “proteggere le fonti ed i metodi delle agenzie di sicurezza del Paese”. Probabilmente vi era anche l’intenzione di non voler turbare i rapporti con l'Arabia Saudita, stretto alleato degli Stati Uniti.
Due anni fa, il presidente Barack Obama ordinò una revisione del rapporto ad opera del direttore della National Intelligence, James Clapper.Il rapporto finale consta di 567 pagine. La prima versione è stata pubblicata nel 2004. Si conclude affermando che “non vi è alcuna prova del presunto coinvolgimento del governo saudita con al-Qaeda”.
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