Bangladesh, pena di morte per spacciatori e tossicodipendenti

La "guerra alla droga" infuria anche in Bangladesh. E adesso il governo di Dacca mira ad introdurre la pena capitale per chi produce, contrabbanda, vende o usa sostanze stupefacenti

Bangladesh, pena di morte per spacciatori e tossicodipendenti

La droga uccide in tutto il mondo, ma i rimedi adottati da alcuni Paesi, spesso, sono altrettanto letali. È il caso del Bangladesh della premier Sheikh Hasina, dove il consumo di metanfetamine ha condannato alla tossicodipendenza quasi otto milioni di persone.

Per questo il governo di Dacca, proprio come quello di Manila, si è lanciato in una campagna anti-droga che sta via via assumendo i connotati di una vera e propria guerra. Sembra che le autorità bengalesi abbiano recepito appieno il “metodo Duterte”, ricorrendo a pratiche repressive illegali e uccisioni extragiudiziali che, dallo scorso maggio ad oggi, hanno causato la morte di più di 200 persone. E qualche giorno fa il governo ha approvato un testo che mira ad emendare la legge sul controllo dei narcotici e ad introdurre la pena capitale per chi produce, contrabbanda, vende o usa sostanze stupefacenti.

Basteranno più di cinque grammi di “yaba”, la cosiddetta “droga della pazzia” che dilaga nei sobborghi del Paese, per finire senza troppi cerimoniali al patibolo. Si tratta di una sostanza devastante che provoca allucinazioni, ansia, inappetenza, insonnia e paranoia, inducendo chi la assume ad avere comportamenti violenti e autolesionisti. Qualcuno la conosce con il nome di “shaboo”. Poco cambia, queste pillole, ormai trafficate anche in Italia, creano una dipendenza psichica di tre volte superiore a quella dell’ecstasy e sul mercato bengalese ne circolano circa 300 milioni.

Le reazioni delle Ong non sono mancate. Almeno 134 di queste si erano già rivolte ai due principali organi delle Nazioni Unite per il controllo delle droghe – l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine e l’Organo internazionale di controllo degli stupefacenti – denunciando omicidi e violazioni dei diritti umani. La convinzione è che “l’approccio basato su abusi e violenze non è idoneo a frenare il commercio di droghe illegali”. Tuttavia, secondo gli attivisti per i diritti umani, “può invece rappresentare un potente strumento politico per vincere le elezioni e colpire l’opposizione”.

Insomma, parecchi sostengono che il tentativo di estendere la pena di morte ai reati connessi agli stupefacenti sia solo un modo per legittimare la repressione del dissenso e che dietro al boom di yaba ci sia proprio la regia del partito di governo, la Bangladesh Awami League di Hasina.

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