Oltre duemila anni fa, Confucio, il più grande filosofo ed educatore della Cina, nel primo capitolo dell’unico libro che registra il suo pensiero, “I Dialoghi” disse: “E’ sempre un piacere ricevere ospiti che vengono da lontano”. La frase descrive quanto il ricevere ospiti da lontano sia ritenuto un evento molto lieto.
Nell’antichità i trasporti non erano economici e viaggiare era molto difficile, il che creava ostacoli alla comunicazione. Ricevere conoscenti che venivano da lontano, incontrare di persona vecchi amici che portavano notizie da fuori era senz’altro un evento assai piacevole: con il passare del tempo si consolidò un cerimoniale. Il sentimento di gioia e il cerimoniale di accoglienza nel ricevere ospiti giunti da lontano si sono conservati immutati fino a oggi. In una parola, è l’ospitalità!
Il popolo cinese é molto ospitale e si ritiene “cerimonioso”. Per qualsiasi popolo in qualsiasi paese, preparare un pasto sostanzioso è il modo comune per ricevere gli ospiti. Non si è uomini pienamente se non si é mai stati sulla Grande Muraglia ed é un vero peccato non aver mai assaggiato l’anatra alla pechinese. Lo sanno tutti gli amici stranieri che ne hanno fatto esperienza. I due principali obiettivi quando si giunge a Pechino sono salire sulla Grande Muraglia e mangiare l’anatra alla pechinese. Se a Pechino hai la possibilità di andare al ristorante una volta sola, l’anatra alla pechinese deve essere senz’altro la prima scelta.
La gente del posto segue anche un’altra abitudine. Come scrisse il famoso letterato cinese Wang Zengqi: non bere succo di soia verde equivale al non essere stati a Pechino! Il succo di soia verde si produce con ciò che avanza dalla lavorazione di un altro prodotto: i vermicelli di soia verde.
Il sapore è leggermente aspro dopo la fermentazione, nel berlo lo si percepisce subito, ma lascia un retrogusto un po’ dolce. A dire il vero, non è affatto un alimento nobile e si può anzi onestamente ammettere che sia di una fascia molto umile. Il succo di soia verde ha una storia di circa trecento anni. Sulle sue origini non esistono più dati verificabili. In quanto derivato della lavorazione di un altro prodotto, possiamo affermare che sia sempre stato incluso nella lista delle bevande di più basso rango. Ma questo umile liquido fece la sua grandiosa entrata in scena con l’opera di Pechino “Storia del succo di soia verde” nella tarda epoca dei Qing. Il trasandato studente Mo Ji era svenuto nella neve davanti alla casa del capo dei mendicanti Jin Song. La figlia di Jin Song, Jin Yunu, lo fece rinvenire con due ciotole di succo di soia verde. In seguito Jin Yunu e Mo Ji si sposarono.
Durante gli esami imperiali (quelli per diventare un funzionario della burocrazia statale), mentre stavano raggiungendo in barca il luogo in cui avrebbe assunto la sua carica, Mo Ji spinse in acqua Jin Yunu poiché disprezzava le sue povere origini. Jin Yunu venne salvata fortunatamente da un superiore di Mo Ji che stava passando in quel luogo. Il superiore di Mo Ji, venuto a sapere dell’accaduto, non si scompose e tornò al governo locale. Nel vedere Mo Ji, gli mentì dicendogli di avere una figlia da marito e di promettergliela in sposa. La notte delle nozze, entrando nella stanza, lo sposo ricevette un colpo di bastone da una schiava, e apparve Jin Yunu che denunciò aspramente ogni suo crimine: Mo Ji venne immediatamente licenziato dal suo superiore in attesa della sentenza. Mo Ji implorò Jin Song, il capo dei mendicanti, di perdonarlo e l’opera si conclude con l’insulto di risposta di Jin Song: “Vergognati, vai a bere il succo di soia verde!”.
Questo succo fin dalle origini è stato sinonimo di povertà e umiltà. Sebbene fosse gradito a molti, coloro che appartenevano ad una certa posizione non osavano berlo pubblicamente e, per mantenere la propria dignità, mandavano sempre le ancelle a comprarlo, per poi poterlo consumare con calma a casa. Soltanto con l’imperatore Qianlong, nel 1754, a questo imbarazzo venne trovata una soluzione. All’epoca un funzionario di corte esclamò: “Visto che il succo di soia verde è molto popolare, abbiamo predisposto del personale per svolgere delle analisi: qualora dovesse risultare conforme agli standard d’igiene e sanitari, ci prepareremo ad assumere due o tre cuochi per prepararlo nella cucina usata esclusivamente dall’imperatore”.
Fu così che quest’alimento popolare di origine umile fece il suo ingresso a corte e diventò un cibo imperiale. Da allora, la fama di questa bevanda è continuata a crescere, anche se non è ancora arrivata ad essere accettata dai ristoranti di lusso. Nei menù della catena di ristoranti di anatra alla pechinese Quanjude, ad esempio, non si offre il succo di soia verde. E’ possibile trovarlo solo nei punti vendita di snack molto economici, ma questo succo è un alimento quotidiano dei pechinesi e ognuno lo acquista dal suo fornitore preferito. I nativi di Beijing ritengono fermamente che il succo di soia verde sia parte della cultura alimentare della loro città e che solo con coloro che lo hanno bevuto e lo apprezzano si possa diventare amici e ci si possa confidare. Questo alimento, consumato durante tutto l’anno, porta i pechinesi a diffonderne la cultura e a proporre sempre inviti a berne un bicchierino insieme. E poi, mentre il succo viene assaggiato da un amico per la prima volta, vengono fatti mille commenti, del tipo: “Il sapore non è ottimo ma quando ci si abitua può andare”.
Quando lo si assaggia, in genere all’inizio si aggrottano le sopracciglia e la situazione è un po’ comica.
In realtà, questo non è propriamente un modo di fare amabile: imporre agli altri ciò che ci piace non è un buon genere di comportamento, ma gli abitanti di Pechino possono ben capire che si provi questo sentimento per il succo di soia verde. E non solo loro, se è vero quanto disse anche Hu Jinquan, il celebre regista di Hong Kong: “Se non riesci a bere il succo di soia verde, non puoi considerarti un pechinese”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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