La Russia provoca, l’America 'mostra i muscoli', la Francia media, la Germania tentenna. L’Italia latita. E la Cina è pronta ad approfittarne. Mentre da est i venti di guerra picchiano più forte, nella partita in Ucraina l’Ue paga l'aver barattato la propria autonomia strategica con la dipendenza dal gas russo. Federico Rampini spiega a ilGiornale.it perché, tra un'Europa mai così "indecisa" e frammentata, gli americani "stufi di fare i gendarmi mondiali" e Mosca che guarda sempre più verso Pechino, uno scontro armato, di fatto, non convenga a nessuno.
Da una parte, per l'Ucraina l'immediata adesione alla Nato rappresenta la miglior “garanzia di sicurezza”. Dall’altra, la Russia non ci sta ad avere i missili dell’Alleanza atlantica alla porta di casa. Il punto di scontro è tutto qui o c’è dell’altro?
“L’immediata adesione dell’Ucraina alla Nato è stata esclusa già da tempo dagli aderenti al Patto atlantico. Sarebbe una provocazione nei confronti della Russia, per questo sia Washington sia i governi europei hanno accantonato da anni la candidatura ucraina. A Putin però questo non basta. Esige che la candidatura di Kiev alla Nato sia esclusa per sempre; vuole inoltre il ritiro di truppe e armi Nato da paesi ex-appartenenti al Patto di Varsavia (cioè alla sfera sovietica) come i Baltici e la Polonia; pretende infine una garanzia che nessun missile americano a portata intermedia (capace di colpire la Russia) sia posizionato in quelle aree. Mettendo insieme tutte queste richieste di Putin il quadro che emerge è un ritorno alla situazione antecedente l’allargamento della Nato, con una sfera d’influenza russa simile a quella ex-sovietica. Putin vuole cancellare gli effetti che lui considera devastanti e umilianti della dissoluzione dell’impero sovietico”.
Dopo la pessima figura fatta in Afghanistan, Joe Biden, ‘mostrando i muscoli’ nello scontro con Mosca, ne potrebbe approfittare per rinsaldare credibilità e consensi calati a picco. Ma, come lei ha ipotizzato, “dietro le quinte” sarebbe già pronto a trattare con Putin. Perché la via del compromesso può essere quella più conveniente per gli Usa?
"Prima di tutto una precisazione sull’attuale impopolarità di Biden. É a picco nei sondaggi, di sicuro, ma la politica estera non c’entra. La débacle di Kabul fu ingigantita dagli opinionisti ma dimenticata quasi subito dagli elettori americani. Presso l’opinione pubblica pesano tutt’altri problemi: l’inflazione, lo stallo nell’agenda delle riforme, le divisioni paralizzanti in seno al partito democratico, gli eccessi del politically correct nell’ala radicale. Sul fronte estero, gli americani sono stufi di fare i gendarmi mondiali. Biden lo sa, per questo ha sempre escluso di mandare soldati a combattere in Ucraina. Questo è giusto, è razionale, e tuttavia inevitabilmente riduce il suo potere negoziale con Putin. Il leader russo sa che gli americani sono pronti a colpirlo con sanzioni ma non interverranno militarmente in nessun caso, eccetto l’invasione di paesi Nato”.
Alla fine una guerra in Ucraina non conviene a nessuno, neanche a Putin?
"Putin preferisce vincere senza combattere, certo. Una guerra vera ha tante incognite anche per lui. Nonostante l’inferiorità militare ucraina, non sarebbe una tranquilla passeggiata fino all’occupazione di Kiev. Potrebbe esserci una resistenza prolungata, con vittime in un popolo fratello che lo stesso Putin descrive come parte della grande famiglia slava. Poi ci sono le conseguenze diplomatiche ed economiche”.
Creare una difesa comune europea non potrebbe essere la chiave per una de-escalation, allontanando definitivamente lo spettro della Guerra fredda?
“Tanti auguri! Sento parlare di una difesa comune europea da quando facevo il corrispondente a Parigi nel 1986-91, cioè negli anni di Mitterrand-Kohl. Oggi la Germania è ancora meno affidabile di allora nel suo atlantismo, la vedo tentata dalla finlandizzazione, cioè da una neutralità funzionale ai suoi interessi mercantili e ad un progressivo scivolamento geopolitico verso Oriente. Il Regno Unito non è più nell’Unione europea. L’unico che parla di difesa europea avendo un esercito degno di questo nome è Macron. Troppo poco”.
Con i leader dei paesi membri mossi dai soli interessi nazionali, a mancare è anche un’azione diplomatica condivisa che fotografa la debolezza dell’Europa. L’Unione europea si è sgretolata o può avere ora la sua occasione?
“Ribadisco: il problema numero uno è la Germania. Con un ex cancelliere tedesco, il socialdemocratico Gerhard Schroeder, che è a libro-paga di Putin ed è il più importante lobbista filo-russo per l’energia, la coesione europea è problematica. Di fronte a Putin l’Europa è stata raramente indecisa come oggi, nonostante le apparenze di compattezza che Biden è riuscito a strappare in sede Nato. L’energia è il nostro tallone d’Achille. Ci siamo privati della nostra autonomia strategica verso Mosca consegnandoci alla dipendenza al gas russo”.
Macron è già andato a Mosca, Scholz prima vede Biden poi vola a Kiev. Draghi per ora ha sentito Putin al telefono. È sufficiente mandare in missione solo il ministro degli Esteri Di Maio?
“Non esageriamo l’importanza degli altri. Macron a Mosca ha rimediato una figuraccia, è arrivato al summit con Putin impreparato. Scholz deve chiedere consigli alla Merkel perché la sua inesperienza diplomatica è pericolosa, e la sua prima trasferta a Washington non è stata brillante. Draghi può provare a metterci la faccia, più di quanto abbia fatto finora, ma non facciamoci illusioni. L’Italia è un peso piuma nella relazioni internazionali, il peso geostrategico di un paese si costruisce nei decenni, non è legato alla figura di un leader. E l’elemento della forza militare è decisivo”.
Allora ha ragione chi rimpiange Berlusconi o Prodi, forse più adatti a giocare una partita che è soprattutto politica?
“Prodi e Berlusconi agirono in contesti troppo diversi: la caduta del Muro di Berlino e quello che fu il momento unipolare dell’egemonia Usa, la Pax Americana. Breve e irripetibile stagione, piena di opportunità mancate. Per gli appassionati di storia vale la pena comunque ricordare che sotto il Prodi presidente della Commissione europea ebbe inizio quell’allargamento a Est dell’Unione, che oggi Putin mette sotto accusa e vuole congelare”.
Comunque vada a finire la crisi in Ucraina, a guadagnarci potrebbe essere la Cina. Perché?
“La Cina sta già guadagnando. Putin è andato a omaggiare Xi Jinping alle Olimpiadi di Pechino e ha firmato un comunicato congiunto che per il 90% riprende le posizioni della diplomazia cinese. Se la Russia finirà sotto nuove sanzioni economiche occidentali, questo la costringerà a “s-dollarizzarsi” ancor più, spostandosi verso quel sistema economico-finanziario alternativo che ha il centro a Pechino.
Non è una propsettiva entusiasmante per Putin, diventare il partner minore e più debole in una grande coalizione sino-russa, ma al momento la logica delle cose lo sta spingendo in quella direzione. La Cina ci guadagna materie prime, energia, armi di qualità. In futuro però vedremo affiorare in modo più visibile le aree di rivalità e tensione fra queste due superpotenze, dall’Asia centrale al Medio Oriente”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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