La sconfitta di Biden stravolge il mondo. Ecco che cosa lo aspetta

La guerra in Afghanistan non è davvero finita. Perché la sconfitta d'immagine di Joe Biden potrebbe avere effetti ben più lontani nel tempo. L'Ue inizia a farsi domande. E per gli Stati Uniti i problemi non sono finiti

La sconfitta di Biden stravolge il mondo. Ecco che cosa lo aspetta

Il portellone si chiude dopo che Chris Donhaue, l'ultimo soldato americano in Afghanistan, sale a bordo dell'aereo. È l'ultimo volo dall'Hamid Kharzai di Kabul: l'ultimo aereo Usa che partirà dall'aeroporto diventato il simbolo della fine della "guerra più lunga". Ma la parola "fine", specialmente dopo un conflitto durato vent'anni, non è così semplice da scrivere. E per Joe Biden adesso inizia forse una fase ancora più complicata: quella di far capire il perché di un ritiro così disastroso non solo agli elettori, ma anche ai suoi alleati.

Impresa non semplice. Moltissimi elettori concordano sul ritiro, ma a nessun piace lasciare l'immagine di un Paese che fugge. Tanto più se un impero come quello statunitense. Nessuno si dispera per la fine della guerra afghana, ormai ritenuta distante e inutile dalla gran parte dei cittadini, ma quella fuga precipitosa da Kabul e l'abbandono dei collaboratori è un'arma troppo importante nelle mani dei rivali repubblicani. Cosa che faranno pesare soprattutto in attesa del prossimo anno, quando ci saranno le famigerate elezioni di medio termine. C'è ancora un anno: un tempo abbastanza sufficiente per evitare che il disastro afghano faccia ancora ombra sugli elettori democratici. Ma le premesse non sono buone: l'agosto di Biden è stato molto più nero di quanto ci si potesse credere, tra fuga da Kabul e coronavirus che torna a crescere. Il presidente democratico dovrà puntare sul piano di ripresa e varare altri miliardi. Ma anche sotto il profilo economico, i livelli dell'inflazione iniziano a essere un campanello d'allarme per la Fed e la Casa Bianca.

Biden è preoccupato e lo è anche il suo entourage. Quella conferenza stampa dopo l'uccisione di una dozzina di marines a Kabul è sembrata un sussulto di rabbia paterna più che della volontà di un leader. E per adesso la vera forza del presidente Usa è data dalla totale assenza di spine nel fianco nel partito democratico, così come in quello repubblicano. Kamala Harris non ne indovina una negli ultimi mesi, la sinistra dem appare molto silenziosa, mentre tra i repubblicani, a parte le fiammate di Donald Trump, non sembrano esserci grossi nomi in grado di indebolire la leadership del presidente. Personalità che comunque continua a precipitare nei sondaggi.

Al problema interno si aggiunge quello internazionale. L'Europa inizia a interrogarsi, e per gli Stati Uniti non è un bel segnale. Biden prometteva il ritorno dell'America, durante la campagna elettorale. Ma l'amministrazione dem, più che rappresentare lo slogan "America is back" sembra ricalcare le orme della frase amata da The Donald: "America first". E di sicuro l'Europa è stata tagliata fuori dalle decisioni più importanti sul fronte della Difesa. Lo dimostra il fatto che Italia e Regno Unito avevano provato a far desistere gli Usa dal ritiro ad agosto, ricevendo un sonoro "no" da parte di Washington. La Francia ha visto le porte chiuse al Consiglio di Sicurezza per il progetto (ideato con il Regno Unito) di una "safe zone" a Kabul.

Anche l'organizzazione del G20 straordinario guidato dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, appare in salita. L'apertura a Mosca e Pechino per risolvere la crisi afghana, unita agli inviti rivolti a Pakistan e Iran, è più di un segnale sul senso di scoramento che anima l'Occidente. Nessun leader europeo, oggi, farebbe affidamento solo sugli Stati Uniti di Joe Biden. E il presidente degli Stati Uniti, che non ha mai citato la Nato e gli alleati europei quando ha parlato del ritiro dall'Afghanistan, deve convincere gli alleati europei a non essere la ruota di scorta. Difficile che questo possa avvenire. Il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, ha sostanzialmente fatto comprendere che l'Ue paga poco e quindi conta poco. E non è un caso che da Bruxelles e dalle varie capitali europee giungano voci sempre più insistenti su una nuova "autonomia strategica" europea. Come ppoi possa tradursi questo auspicio, questo è un altro punto interrogativo che finora non può trovare risposta. Un continente unito nella Difesa ma non in politica appare un progetto destinato ad arenarsi in breve tempo. Ma è comunque un primo sussulto dopo il disastro d'immagine afghano.

Disastro che però non significa sconfitta su tutta la linea: almeno dal punto di vista americano. La logica è molto semplice: Washington non voleva più spendere per una guerra che, a detta di molti analisti, impegnava solo gli Usa mentre questi facevano da tappo per tutto il caos in Asia centrale.

La nuova amministrazione ritiene che il suo unico vero obiettivo strategico debba essere la Cina, anche più della Russia. E la dimostrazione di questo reale obiettivo è dato da due fattori che riguardano proprio l'Afghanistan, argomento non solo sottovalutato, ma che si voleva chiudere nella maniera più rapida possibile. Il primo è che il futuro del Paese era un punto del tutto secondario del dossier Nato 2030 di cui si è discusso anche questa estate. Il secondo elemento è rappresentato dalle conversazioni riportate da Reuters tra Biden e il presidente afghano Ashraf Ghani (23 luglio 2021), che indicano che il capo della Casa Bianca non fosse assolutamente consapevole dei rischi dell'avanzata talebana. Anzi, due settimane prima che l'intelligence lanciasse l'allarme sulla caduta di Kabul, Biden diceva al suo omologo asiatico che non vi era alcun pericolo e che il suo esercito non si sarebbe arreso.

Un mese dopo quelle parole, l'Emirato islamico dell'Afghanistan è diventato ormai una realtà. L'Europa non è stata ascoltata e potrebbe trovarsi un'ondata di profughi per una guerra non voluta e nemmeno finita come voleva. E il presidente degli Stati Uniti ha osservato impotente a un ritiro che, nonostante l'accordo, è apparso come una resa senza condizioni.

L'unica speranza del leader Usa è riuscire a ribaltare la situazione: o con la lotta al virus, o con un'iniezione di soldi oppure cambiando obiettivo nel mondo. La Cina sembra osservare le prossime mosse Usa con molta attenzione: il pericolo - secondo Pechino - è che Washington possa rifarsi proprio sul fronte del Pacifico.

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