Boris Johnson sostiene che i migranti residenti sul territorio Uk debbano studiare e parlare la lingua inglese. L'ex sindaco di Londra non può ancora esultare per la vittoria delle primarie del Partito conservatore, ma continua a rilanciare quelle che ritiene essere questioni "vere" e "necessarie". L'intenzione di Johnson potrà forse tramutarsi in un obbligo di legge. Per ora tutto rimane sul piano di una dichiarazione pronunciata durante un comizione. La stessa che è balzata agli onori delle cronache di molti quotidiani occidentali, tra cui il New York Times.
Il 22 luglio, che è la data in cui conosceremo i risultati della sfida tra il politico favorevole all'hard Brexit, ossia a uno strappo definitivo e senza accordi con l'Unione europea, e l'attuale ministro degli Esteri Jeremy Hunt, che è invece molto meno incline a una rottura istituzionale con Strasburgo e Bruxelles, non è più così lontano. E le ultime fasi di campagna elettorale - come tutti sanno - servono spesso ad aggiustare il tiro, a convincere gli elettori che nutrono ancora dubbi, in questo caso gli iscritti alla formazione politica dei Tories, e a ribadire le priorità programmatiche in vista del voto. Questa sulla necessità che coloro che arrivano nel Regno Unito da altre nazioni imparino l'inglese è una battaglia che attiene al piano dell'identità culturale, ma anche a quello della sicurezza.
Non sembra un caso, infatti, che Boris Johnson ne abbia parlato poco prima di promettere un incremento del numero delle forze dell'ordine deputate a far rispettare la legge: "L'aumento dei livelli di criminalità distrugge vite in tutto il Paese e abbiamo urgente bisogno di affrontarlo. Per mantenere le nostre strade sicure e ridurre il crimine, dobbiamo continuare a fornire alla polizia gli strumenti di cui ha bisogno e, soprattutto, dobbiamo aumentare la presenza fisica della polizia nelle nostre strade". A riportare questa dichiarazione, tra gli altri, è stata anche l'Agi.
Non siamo dinanzi a un microdisegno, ma una vera e pianificazione strategica in grado di modificare, e in meglio, la situazione sociale delle città britanniche. Perché il fine è anche evitare la creazione di quelle che in Svezia vengono chiamate "no goez zone", cioè quartieri dove lo Stato incontra almeno qualche difficoltà ad intervenire: "Troppo spesso - ha specificato Boris Johnson in relazione alla sfida linguistica che ha lanciato - ci sono parti del nostro paese e parti di Londra, ancora e in altre città, dove l'inglese non è parlato da alcune persone come prima lingua".
Il candidato conservatore ha anche argomentato su quanto sia importante, per un'integrazione vera nel settore delle attività produttive ed economiche, che la lingua parlata sia una. La politica - com'era pronosticabile - si è già spaccata.
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