Per Cesare Battisti non sarà Jair Bolsonaro, il candidato di estrema destra alle presidenziali brasiliane, a decidere del suo futuro. E della sua estradizione. Raggiunto da Agence France-Presse, a proposito della decisione di essere rimandato in Italia, si è detto sereno, ricordando che la Corte suprema brasiliana deve ancora esprimersi sul suo caso: "Non mi preoccupo perché non è l'esecutivo che decide su questo, in questo momento, ma è la magistratura".
Qualche ora prima, su Twitter, il candidato del Partito Social-Liberale, favorito al ballottaggio del 28 ottobre, era stato chiaro. E, ancora una volta, aveva sottolineato la volontà di impegnarsi nella consegna immediata di Battisti alle autorità, in caso di vittoria alle elezioni.
In Brasile, Cesare Battisti era arrivato nel 2004, durante la presidenza del leader della sinstra brasiliana, Luiz Inacio Lula da Silva. Che nell'ultimo giorno del suo mandato, nel 2010, aveva respinto la richiesta di estradizione decisa dalla Corte suprema. Lo aveva fatto per decreto. Una delibera che, oggi, la difesa dell'ex membro dei Proletari Armati per il Comunismo (Pac) considera irrevocabile.
Battisti, nel 1993, era stato condannato in Italia all'ergastolo, per quattro omicidi e per complicità in omicidio. I fatti risalivano alla fine degli anni '70. Dopo alcuni anni passati in carcere è fuggito, chiedendo asilo politico fuori dai confini nazionali. Prima del Brasile, ha passato 15 anni in Francia.
Il governo dell'attuale presidente brasiliano, Michel Temer, un anno fa aveva manifestato
la sua intenzione di rimandare Battisti in Italia. Ma la Corte suprema brasiliana, che a ottobre 2017 doveva decidere se l'estradizione fosse legale o meno, alla fine aveva rinviato il giudizio sine die per motivi tecnici.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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