Così si rinnova l'alleanza tra gli Ayatollah e le élite alawite

Finora era stato fornito a Damasco un supporto economico, diplomatico e di consulenza sul piano militare. Ora se Assad lo richiede il governo di Teheran si è detto pronto a mobilitare i suoi soldati

Così si rinnova l'alleanza tra gli Ayatollah e le élite alawite

Questo giovedì a Damasco si sono incontrati il presidente siriano Bashar Al Assad, il capo dei servizi di sicurezza siriani Ali Mamlouk. e il capo della commissione parlamentare per la sicurezza nazionale iraniana Alaeddin Boroujerdi. “La Repubblica islamica rimarrà in Siria fino a quando non ci sarà una vittoria totale contro i gruppi takfiri”. Da parte sua, il leader del partito Baath ha espresso gratitudine per il “ruolo costruttivo” di Teheran nella lotta contro il terrorismo, affermando che la nuova coalizione anti-terrorismo di cui fanno parte Iran, Russia, Siria e Iraq potrebbe essere “l’asso nella manica” per le sfide future nella regione”. Si rinnova dunque l’alleanza che dura dal 1979 tra gli Ayatollah e le élite alawite. Ma c’è una nota di colore. Finora il governo iraniano aveva fornito a Damasco un supporto economico, diplomatico e di consulenza sul piano militare (vedi il generale Hossein Hamadani morto qualche giorno fa da un commando di militanti dello Stato Islamico durante gli scontri avvenuti ad Aleppo). Ora le cose potrebbero cambiare. “Se la Siria richiede l’invio di combattenti iraniani, valuteremo e prenderemo una decisione” ha detto Alaeddin Boroujerdi durante la conferenza stampa.

Eppure secondo l’Associated Press – smentita da Teheran - centinaia di soldati sarebbero già arrivati in Siria ad aggiungersi alle circa 1.500 Guardie della Rivoluzione iraniana che opererebbero (non sono ancora state fornite le prove) nei dintorni della base militare a Latakia, dove si preparano all’imminente offensiva contro Aleppo. Al momento gli unici miliziani stranieri al fianco dell’esercito di Assad sono quelli libanesi sciiti di Hezbollah. In un video circolato ieri dopo l’operazione militare appoggiata dall’aviazione russa al nord di Homs si vede Qassem Suleimani, comandante delle truppe iraniane all’estero e stratega vicino al Cremlino, abbracciato da soldati che cantano slogan sciiti con accento libanese. Nessuna traccia di lingua farsi. Del resto l’invio di miliziani che fanno capo al leader del Partito di Dio Hassan Nasrallah è costante e sostenuto anche dal governo di Beirut. L’integrità territoriale del Libano passa per la stabilità della Siria. La conquista di quei villaggi è cruciale per Damasco: lì parte l’autostrada che da Homs arriva Aleppo, seconda città del Paese passando attraverso le province di Hama e Idleb, entrambe in mano alle milizie islamiche alleate ad Al Nusra, il ramo siriano di Al Qaeda (“i ribelli moderati” come vengono chiamati dalla stampa occidentale).

Con l’arsenale bellico impiegato da Mosca il supporto degli iraniani può limitarsi in effetti a quello economico, diplomatico e di consulenza. La colpevolizzazione della Repubblica Islamica, accusata di mobilitare i suoi soldati e di aver dunque peggiorato la situazione in Siria, rientra in una logica mediatica che mira a fabbricare un’iranofobia dopo che il Paese è uscito dall’isolamento diplomatico grazie all’accordo sul nucleare e si è mostrato al mondo militarmente organizzato. Ieri la tv iraniana ha trasmesso per la prima volta i video della base sotterranea equipaggiata di missili di nuova generazione.

Il comandante della base-bunker Amir Ali Haji Zadeh, ha sottolineato che l’Iran non intende scatenare alcuna guerra, e la costruzione di questi impianti a 500 metri di profondità servono per difendersi da eventuali aggressioni. C'è chi però dall'altra parte dell'Oceano vede e sente quello che fa più comodo ribattendo con i soliti toni di allarmismo.

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