"Così si rischia un 8 di settembre afghano"

Il generale, grande conoscitore dell'Afghanistan, spiega qual è la strategia dei talebani e quali possono essere i loro piani per il futuro

Il generale Giorgio Battisti in Afghanistan insieme a un interprete
Il generale Giorgio Battisti in Afghanistan insieme a un interprete

Giorgio Battisti, generale degli alpini non più in servizio, ma che è stato impegnato in missione in Afghanistan, lancia l’allarme sull’avanzata talebana. E sul destino delle dozzine di collaboratori dei nostri soldati che hanno chiesto aiuto, ma sono rimasti indietro.

Generale, l’Afghanistan sta rischiando di cadere nelle mani dei talebani?

“La conquista di ben cinque capoluoghi di provincia (su un totale di 34) nell’arco temporale di pochi giorni, di cui tre nella sola giornata di domenica 8 agosto, lascia intendere che queste azioni fanno parte di un coordinato piano strategico, diretto con visione unitaria (e forse con il supporto esterno) da uno staff di professionisti militari, e non sono un insieme di azioni decise dai comandanti locali”.

Vuol dire che hanno un piano preciso?

“Inizialmente, sono stati occupati i valichi confinari per isolare il Paese, successivamente, sono stati interrotti i collegamenti sulle principali vie di comunicazione e, infine, sono stati posti gradualmente sotto assedio i più importanti centri urbani che poco alla volta rischiano di cadere nelle mani dei talebani”.

L’11 settembre, che era la data iniziale di fine ritiro degli americani, potrebbero entrare a Kabul?

“Occupare Kabul è un’ipotesi remota, ma se ci fosse un’otto settembre afghano con un’implosione interna delle forze di sicurezza governative a causa di una dirigenza politica allo sbando, allora è verosimile che i talebani possano entrare nella capitale, con le bandiere al vento, come è capitato a Saigon nel 1975”.

Ed i nostri ex collaboratori afghani sono in pericolo…

“Tale rapida, seppur prevedibile, espansione del controllo del territorio da parte degli “studenti coranici” rende ancora più impellente l’esigenza di “esfiltrare” speditamente i nostri collaboratori afghani e relative famiglie che rischiano di non potersi più muovere dalle località oramai occupate dai talebani per recarsi nei punti di raccolta per la successiva evacuazione verso l’Italia ed essere cosi individuati ed ammazzati in quanto considerati traditori”.

Come mai l’evacuazione va a rilento?

“È una corsa contro il tempo che deve indurre a semplificare al massimo le operazioni di verifica dei profili di sicurezza di questo personale, che dovrebbe essere già ben noto visto che hanno operato per anni in nostro supporto. Qualche approfondimento potrà essere al limite effettuato in seguito in Italia. Del resto, non mi risulta – ma potrei sbagliarmi – che analoghe verifiche siano compiute preventivamente per gli immigrati irregolari che arrivano quotidianamente a centinaia nei nostri porti mediterranei”.

Gli aeroporti riescono di chiudere sotto il tiro dei talebani bloccando l’evacuazione?

“Occorre procedere rapidamente con l’invio di voli dedicati prima

che gli aeroporti non siamo più agibili perché sotto il fuoco talebano, come già avvenuto con quelli di Kandahar e di Herat. Forse non è ancora chiaro che non si tratta di riportare in Patria turisti bloccati all’estero!”.

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