Il Sinodo per l'Amazzonia è oggetto di critiche dottrinali, anche molto accese, da parte dei tradizionalisti, che osteggiano l'estensione del celibato sacerdotale ai laici, cioè l'approvazione dei cosiddetti "viri probati", l'esordio ufficiale della dottrina ecologista, l'istituzione di un diaconato femminile e altre sterzate che per ora non possono essere date per certe, ma coinvolge pure emisferi del mondo politico.
Perché il campo di battaglia, per così dire, non è solo quello spirituale. Di questi tempi, anche in America latina, si fa un gran parlare di sovranità. Com'era stato fatto presente in questo articolo, il pensiero allarmato dei conservatori, sudamericani e non, dipende da uno scenario: assistere alla trasformazione dell'Amazzonia in un soggetto giuridico svincolato non solo dalla nazione sudamericana ma dall'intero continente.
Per qualcuno, solo ipotizzare che l'Amazzonia possa essere posta sotto una sorta di protettorato internazionale, è un'intromissione. Ma una sceneggiatura di quel tipo è difficile da portare a termine. Bisognerebbe che la foresta diventi un ente geopolitico sovranazionale. Il presupposto sarebbe duplice: la necessità, sempre più impellente a detta dei progressisti, di una tutela ambientale integrale, come l'ideologia ambientalista consiglia, e il ruolo che quella zona di mondo esercita per la salvaguardia della vita umana e della biodiversità. Anche il Papa, nel suo recente viaggio in Africa, ha operato un collegamento tra queste due antecedenze d'interesse globale.
Quello della "Amazzonia libera" è un disegno che la Chiesa cattolica, nonostante le smentite, potrebbe aver deciso di assecondare. Come? Stringendo un'alleanza di ferro con le popolazioni indigene che rivendicano la propria indipendenza. Non è un casuale che il presidente del Brasile stia indugiando sui sussidi provenienti dagli Stati esteri. Quelli che possono servire a placare gli incendi. E il botta e risposta con Emmanuel Macron può essere interpretato anche attraverso questa chiave. C'è un'alleanza progressista, che va dall'inquilino dell'Eliseo al Vaticano, intenzionata a contrastare Jair Bolsonaro? Sembra complottistico come quadro. Di sicuro la partita è complicata.
Una spy story brasiliana?
Il cardinale brasiliano Claudio Hummes, ex arcivescovo di San Paolo e principale relatore dell'appuntamento sinodale, si è fatto sentire sull'ipotesi che i vescovi carioca, pure quelli che magari saranno presenti al Sinodo di ottobre, siano stati posti sotto osservazione: "Sorpresi da notizie che i vescovi sarebbero stati spiati da intelligence", ha reso noto l'alto ecclesiastico, che Jorge Mario Bergoglio ha posto al vertice dei lavori sinodali. Si tratta di acredini che gli organi ufficiali brasiliani hanno bollato come infondate, così com'è approfondibile sulla Sir. "Questo - ha comunque fatto sapere il porporato brasiliano, riferendosi a quella che è rimasta una congettura filtrata dalla stampa - ci ha sorpreso molto perché ha dato l’impressione negativa della censura". Ma dall'esecutivo carioca, come ha raccontato la fonte sopracitata, hanno fatto sapere che qualche delucidazione sul piano del diritto internazionale può essere utile.
Quell'intreccio tra politica e dottrina
Il cardinale Raymond Leo Burke, che è sulla barricata opposta rispetto a quella di Hummes, ha lanciato una crociata centrata su "preghiera e digiuno". Le novità dottrinali del Sinodo - fanno presente i tradizionalisti - non devono passare. A meno che non si voglia modificare alla base il deposito della fede. C'è questo confronto ecclesiastico, che è anche molto serrato. E c'è anche un subbuglio idealistico. Un'altra figura che alcuni media dipingono come preoccupata, seppure per via di motivazioni differenti, è proprio quella di Jair Bolsonaro. E qui entriamo nel campo delle logiche politiche di quei territori.
Lo scontro è antico. Il Brasile è una delle terre della teologia della liberazione. Quando si è trattato di votare, qualche vescovo, pur non prendendo posizione contro questo o quel candidato, ha domandato ai cattolici, anche a mezzo lettera, come nel caso del presule della diocesi di Ruy Barbosa, di non coadiuvare i fautori delle armi, per esempio. Vale la pena ricordare come Jair Bolsonaro sul presunto diritto di possedere delle armi abbia una visione liberalizzatrice. Pure sulle reazioni che l'esponente del partito Social-Liberale ha avuto dopo il divampare degli incendi nella regione panamazzonica, la Chiesa cattolica ha detto la sua. Non è un clima agevole. E le parti sembrano distanti. "I vescovi stanno meglio con l'Amazzonia che con i politici", ha dichiarato il 4 settembre scorso il vescovo Erwin Krauter, come si legge su Ansa Latina. L'ennesimo elemento che indica come qualche frizione esista.
L'opposizione dei teologi della liberazione
Il presidente Jair Bolsonaro è un pro life, ma non piace ai teologi della liberazione. Che è po' quello che succede negli Stati Uniti con Donald Trump. La sinistra ecclesiastica ritiene che il populismo di destra sia la risposta errata a istanze comprensibili. Il teologo della liberazione Leonardo Boff, che in passato ha trovato in Joseph Ratzinger e in San Giovanni Paolo II due ostacoli di una certa caratura teologica, ha definito l'odierna fase politica brasiliana una"post democrazia". Il suo pensiero su Jair Bolsonaro può essere approfondito in questa intervista concessa al blog "Confini" di Rai News. Quella in cui Leonardo Boff ha distribuito quella etichetta politologica.
L'unica conclusione possibile ad oggi
Lo scontro è manifesto.
Volendo ricercare l'origine di questa bagarre, bisogna interessare quattro distinti livelli: quello politico-ideologico, quello teologico-dottrinale, quello socio-economico e quello geopolitico. Nel mese di ottobre potremmo saperne qualcosa di più.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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