Per gentile concessione della casa editrice Giubilei Regnani, pubblichiamo l'introduzione de Il tramonto del sogno americano, saggio scritto da Alberto Bellotto che rientra nella collana I tornanti curata da Andrea Indini.
Non c’è un Paese che sia entrato nell’immaginario collettivo globale tanto come gli Stati Uniti d’America. Cinema, musica e letteratura sono fattori che hanno portato moltissime generazioni a sognare gli Stati Uniti come la Terra delle Opportunità, dove attraverso il duro lavoro, il talento e la disciplina ognuno poteva diventare quello che voleva. “In nessun’altra nazione si può diventare americani come da noi”, diceva Ronald Reagan nel suo ultimo discorso da presidente il 19 gennaio 1989. Sotto questa superficie di sogno al di là del mare, chi scrive e studia di Stati Uniti come fa Alberto Bellotto nel libro "Il tramonto del sogno Americano" edita da Giubilei Regnani, sa che c’è un terreno dove la divisione serpeggia. Il mito fondativo della “Nation Under God” rimane quello: un mito.
Sin dalle origini, in realtà, la divisione per fazioni ha polarizzato l’opinione pubblica: centralisti contro federalisti, Nord industriale contro Sud schiavista, pionieri contro nativi, bianchi contro neri nelle città del secondo dopoguerra. Fino all’oggi, dove la polarizzazione politica ha reso un’assoluta rarità i centristi non solo nelle aule del Congresso, ma anche nella società. La contrapposizione politica coinvolge anche elementi di vita quotidiana come l’uso delle mascherine, i vaccini, ma anche l’uso di auto elettriche, il consumo di carne rossa o l’uso di scarpe di una nota marca appartenente a un finanziatore dell’ex presidente Donald Trump. Sbaglia chi dice che ci può essere una guerra civile nei prossimi anni e non per motivi di irenico ottimismo: semplicemente, i motivi di frattura non sono più geografici e d’interesse economico come nel 1861, ma percorrono le famiglie e le comunità. Ogni presidente che si insedia esprime la sua volontà di voler risanare le ferite della nazione. Donald Trump e Joe Biden non hanno fatto eccezione, ma quasi subito hanno accettato di essere presidenti divisivi che sperano di mantenere un consenso frammentario del 50 per cento più uno degli americani. Un po’ per ricostruire l’unità del Paese.
Fuorviati dall’apparente unanimismo della guerra fredda, oggi ci interroghiamo e riflettiamo su un unione che forse non è mai esistita come tale, ma per molti anni ha saputo sventare l’esplosione di conflitti dirompenti grazie anche a elementi aleatori come la leadership politica individuale, la fortuna e gli eventi esterni, come la crescita economica o le vittorie militari. Adesso sembra non bastare più niente di tutto ciò. Ci troviamo, per citare lo storico Michael Parrish riguardo agli anni ’20 del Novecento, in una seconda “età dell’ansia”. Per capire meglio questi fenomeni non c’è altra via che immergersi in questi fenomeni senza pregiudizi e la mente aperta.
Alberto Bellotto con i suoi “graffiti” aiuta i lettori a vedere più da vicino cosa si muove sotto una superficie offuscata non solo dall’immaginario che abbiamo citato all’inizio, ma anche da una cialtroneria giornalistica e accademica che non vuole togliersi le lenti eurocentriche.Tempo di un nuovo sbarco intellettuale sulle coste americane e lanciarsi in una nuova esplorazione sul campo. Armati solo di genuina curiosità.
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