Cinque bambini, quattro maschietti e una femminuccia, due ragazzi adolescenti, dodici uomini e diciannove donne. I corpi delle 38 vittime della strage nella chiesa di San Francesco a Owo, in Nigeria, giacciono da giorni nell’obitorio della città. Ma secondo il direttore delle comunicazioni sociali della diocesi di Ondo, don Augustine Ikwu, è ancora difficile avere una stima precisa dei morti nell’attacco armato alla Messa di Pentecoste. I feriti gravi sono molti e qualcuno è stato portato in ospedali privati. Ci vorrà tempo, quindi, per avere informazioni sul destino dei fedeli che domenica scorsa erano seduti tra i banchi in attesa di ricevere la benedizione.
"Stiamo cercando di contattare le famiglie di ogni persona che era in chiesa quel giorno", ha spiegato il sacerdote in un’intervista esclusiva alla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre. La diocesi fa appello alle famiglie per avere informazioni sullo stato di salute delle persone coinvolte. Nelle corsie c’è chi sta lottando tra la vita e la morte. Altri invece sono stabili: "I dottori stanno facendo un ottimo lavoro e spero che sopravvivano, con la grazia di Dio, le nostre preghiere e gli sforzi del personale medico". Non né ancora chiaro chi ci sia dietro i cinque o forse più uomini armati che dopo aver parcheggiato l’auto nel parcheggio della parrocchia hanno aperto il fuoco tra le navate.
La diocesi non si sbilancia. "Non c’è ancora niente di concreto", dice il sacerdote. L’assalto non è stato ancora rivendicato. Le ipotesi che circolano, però, si limita a dire il religioso, "suonano abbastanza logiche e si adattano alla situazione generale del nostro Paese in questo momento, come l'insicurezza, i disordini politici e i conflitti tra pastori fulani e agricoltori". I principali indiziati per la mattanza sono proprio i mandriani semi-nomadi in conflitto con i contadini per il controllo delle risorse.
Nel frattempo la speranza è che gli autori del gesto vengano catturati e confessino "i veri motivi dietro l'attacco" avvenuto in uno Stato relativamente pacifico rispetto a quelli del nord, preda dei gruppi jihadisti come Boko Haram. "Anche i musulmani locali - spiega don Ikwu - sono relativamente pacifici e si sono esposti pubblicamente per condannare questa atrocità". Bisogna scongiurare una "guerra di religione". Un rischio che per alcuni sarebbe concreto, visto che dietro le scorribande dei pastori fulani per il controllo della terra la componente religiosa è sempre più presente.
L’appello del religioso quindi è che la popolazione "sia pacifica, rispettosa della legge e non si faccia giustizia da sé". "Nessuno – è la lezione del sacerdote - dovrebbe uscire per commettere il male in cambio del male. Questo non è affatto lo stile di vita cristiano. Anche in queste situazioni, rispondiamo al male con la pace". Allo stesso tempo, però, la diocesi chiede che l’inchiesta per identificare i colpevoli vada avanti. "È un momento difficile per noi e vorremmo invitare il mondo intero a ricordarci nelle sue preghiere, a pregare per i defunti, i feriti e le loro famiglie", dice don Ikwu."Chiediamo a chiunque possa – ha aggiunto - di aiutarci nelle indagini sul campo".
Infine, l’appello alla comunità internazionale: "Il mondo deve essere consapevole della situazione di insicurezza, non solo nel nostro Stato ora, ma nell'intero Paese, perché a questo punto l'insicurezza ha letteralmente preso il controllo della nazione".
Il dito è puntato contro il governo nigeriano, accusato di non fare abbastanza per proteggere la propria popolazione: "Se il Paese è diventato ingovernabile, dovrebbe essere onorevole dimettersi e lasciare spazio a qualcuno che potrebbe essere in grado di gestirlo meglio", mettendo da parte "l’avidità".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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