Come quasi tutti i giornali della galassia “liberal” negli Stati Uniti, anche il Washington Post, acquistato recentemente dal fondatore di Amazon Jeffrey Bezos, è stato protagonista negli ultimi anni di un rovesciamento della propria linea editoriale. Da baluardo del progressismo a stelle e strisce, questo quotidiano è diventato alfiere del più accanito neoconservatorismo. In fondo il quadro è più che logico: dopo aver sostenuto prepotentemente le guerre in Afghanistan, in Iraq, in Libia, e più recentemente invitato l’amministrazione Obama a prendere iniziative più radicali in Siria contro Bashar al Assad, adesso i suoi editorialisti ritengono che sia divenuto necessario, con qualche anno di ritardo, estirpare il Califfato.
A settembre del 2013 il capo della Casa Bianca disse: “Non invierò mai truppe di terra americane (boot on the ground, ndr)”, poi ad inizio ottobre aveva autorizzato il dispiegamento di “meno di 50 unità di forze speciali” nel nord della Siria (addestramento, consulenza ed assistenza), e di schierare aerei A-10 e jet F-15 nella base turca di Incirlik, nel sud della Turchia. Ma queste “mezze misure” non sono piaciute a chi ha sempre sognato una “guerra totale” senza distinzione del nemico. Tra questi ci sono gli ambienti neocon orientati ad una politica estera dettata dal “clash of cvilisation” huttingtoniano. “Gli Stati Uniti devono realizzare che c’è urgente bisogno che impieghino una forza militare reale per sconfiggere la minaccia dell’Isis,” scrive sulle colonne del Washington Post, James Jeffrey, ex ambasciatore americano in Iraq oltre che vice consigliere per la sicurezza nazionale, ora analista all’Institute for Near East Policy. “A 18 mesi dall’inizio delle mezze misure prese dall’amministrazione Obama, è ovvio che la sconfitta dell’Isis non avverrà in assenza di una forza di prima classe, mobile e a terra, che operi insieme alla potenza aerea”, commenta Jeffey, precisando che tale forza non deve necessariamente essere estesa, e neanche solo americana, francese o di altri Paesi occidentali con esperienza alle spalle. “Senza forze di terra Usa, l’Isis manterrà il suo Stato, proseguirà lo sfruttamento dell’Isis da parte dell’Iran e della Russia, così come la destabilizzazione di una vasta porzione dell’Eurasia ed esporrà nuovamente gli Stati Uniti al rischio di attacchi terroristici di massa”, precisa.
L'appello “ci vuole più guerra” però non sembra prendere in considerazione l’affollamento nei cieli e sul territorio siriani. Al momento sono tanti e variegati i gruppi che operano attivamente: ci sono i miliziani sciiti libanesi di Hezbollah e i soldati dell’esercito regolare appoggiati dall’aviazione russa, ci sono i combattenti curdi, i miliziani di Jabhat Al Nusra e dell’Isis, gli aerei e le flotte di Stati Uniti e Francia supportati dai governi di Bahrein, Australia, Arabia Saudita, Turchia, Canada, Giordania ed Emirati Arabi Uniti, i quali peraltro violano la sovranità territoriale della Siria come segnalato dal ministro degli Esteri del governo di Damasco in una lettera indirizzata alle Nazioni Unite.
Mandare forze di terra statunitensi – come sostenuto da James Jeffrey sul Washington Post – potrebbe creare ulteriore confusione in un teatro di guerra che ha già provocato la morte di centinaia di migliaia di soldati e civili.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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