Iwo Jima, identificato il marine che issò la bandiera Usa

Rivelata la vera identità dell'ultimo soldato che issò la bandiera americana sul Suribachi. Si tratta di H.Keller, un uomo che non fece mai parola di quel giorno e della guerra.

Iwo Jima, identificato il marine che issò la bandiera Usa

Iwo Jima, 169 metri sul livello del mare. Un mare di sangue, come quello che è diventato il Pacifico dopo quattro anni di conflitto mondiale. Un drappello di marine, sporchi e con le divise logore da fatica e battaglia, issano una bandiera su un palo di ferro rimediato sul momento. Un reporter di guerra fino a quel momento anonimo, Joe Rosenthal della Associated Press, li tiene in posa e scatta con la sua anonima macchina fotografica da 4×5 pollici. Quell'istante gli varrà il premio Pulitzer.

È il 23 febbraio del 1945, e tutti gli americani che sono sbarcati sulla sperduta isola di Iwo Jima, dopo aver combattuto cinque giorni nella cenere vulcanica e nel sangue, vedono finalmente sventolare le stelle e le strisce degli Stati Uniti in cima all'ultimo avamposto strategico che l'Impero giapponese non vuole abbandonare. Asserragliati nei bunker e nelle gallerie che costellano le viscere del Monte Suribachi i giapponese gli daranno filo da un altro mese - ma quel momento rimarrà indelebile nella storia e nell'immaginario del mondo intero come l'istante l'istante in cui i soldati d'America avevano battuto il nemico e vendicato Pearl Harbor. La foto farà il giro del mondo, sarà in prima pagina sui giornali di tutta gli Stati Uniti, finirà su francobolli e verrà scolpita una statua come simbolo del Corpo dei Marine; ma per anni nessuno sapeva l'identità di quei sei uomini che componevano il drappello.

Ora, dopo oltre settant’anni, una nuova identificazione frutto delle ricerche di tre storici che hanno confrontato filmati, foto scattate da altri soldati e centinaia di dati d’archivio, può accertare che uno di loro era il caporale Harold "Pie" Keller. Secondo quanto riportato dai media statunitensi, l’identificazione di Keller è stata confermata da investigatori della sezione scientifica dell’FBI. Restituendo il posto nella storia ad un uomo che non si vantò mai si vantò della conquista del Suribachi, ma che ferito a una spalla tornò a casa con il Purple Heart appuntato sul petto, e venne portato via d’infarto a soli 57 anni, nel 1979.

All'epoca il fotoreporter dell'Ap che avrebbe vinto il Pulitzer per una delle fotografie più famose della seconda guerra mondiale, non poté chiedere i nomi a quei sei soldati, perché nonostante avessero raggiungo la vetta, sul monte si combatteva ancora, e i giapponesi uscivano dai nascondigli mimetizzati come fantasmi dalla terra. Per questo a lungo si indagò su chi potevano essere quei sei marines di cui non si vedeva nemmeno il volto, ma solo gli elmetti.

Nel 1946 il corpo dei Marines tentò di mettere dare una risposta a quella domanda cercando di identificare i sei soldati e nonostante diverse polemiche concluse che si trattava di Rene Gagnon, Harold Schultz, Franklin Sousley, Michael Strank e Henry “Hank” Hansen. Adesso è chiaro che Gagnon, morto pochi mesi dopo e poi seppellito nel cimitero per gli eroi di guerra di Arlington non era tra loro; ma al suo posto era Keller.

Lo sbarco a Iwo Jima

Dopo un pesante cannoneggiamento dalle Marina per alleggerire le difese giapponesi e una serie di raid lanciata dai bombardieri "Librator" e dai cacciabombardieri imbarcati "Corsair", la prima ondata di marines sbarca sulla spiaggia di cenere vulcanica di Iwo Jima. Ma le centinaia di casematte, fortini e postazioni blindate interrate edificate con calcestruzzo e abilmente mimetizzate non sono state nemmeno scalfite. Attestati sulla spiaggia, i marines attendono i mezzi corazzati per proseguire nell'entroterra e conquistare un aeroporto strategico e di lì per lanciare i bombardieri B-29 che devo mettere in ginocchio Tokyo. Le truppe al comando del generale Kuribayashi aprono il fuoco delle postazioni mimetizzate sul monte Suribachi. I marine, i mezzi da sbarco, e i cingolati impantanati sulla spiaggia cadono sotto il tiro incrociato di cannoni, mitragliatrici e mortai che fino ad momento prima aveva atteso in silenzio. Sarà uno stillicidio. Gli americani soffriranno migliaia di morti e feriti in poche ore. Ventimila alla fine della battaglia.

Ci vorrà oltre un mese, prima che un drappello di marine dalle divise tropicali logore, possa issare la

"Star and stripes" sulla cima di un monte crivellato e ancora pieno di combattenti devoti al Sol Levante, per diventare il simbolo indelebile del Corpo dei marines e rimanere per sempre nell'immaginario del mondo intero.

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