Le insidie del Memorandum Italia-Libia

In base al testo del Memorandum - sottoscritto, per la parte libica, da Fayez al-Serraj, presidente del Governo nazionale – Roma e Tripoli punterebbero a risolvere “alcune questioni […]tra cui il fenomeno dell’immigrazione clandestina e il suo impatto, la lotta contro il terrorismo, la tratta degli esseri umani e il contrabbando di carburante”

Le insidie del Memorandum Italia-Libia

L'Italia ha chiesto a Tripoli una commissione per modificare il memorandum d'intesa sui migranti. Le richieste verteranno sul rispetto dei diritti umani nei centri di accoglienza dei migranti irregolari, secondo le indiscrezioni di Palazzo.

Già all’atto della sottoscrizione dell’accordo bilaterale molti giuristi e attivisti, da entrambi i lati del Mediterraneo, denunciarono profili di antigiuridicità dell’accordo.

In base al testo del Memorandum - sottoscritto, per la parte libica, da Fayez al-Serraj, presidente del Governo nazionale – Roma e Tripoli punterebbero a risolvere “alcune questioni […]tra cui il fenomeno dell’immigrazione clandestina e il suo impatto, la lotta contro il terrorismo, la tratta degli esseri umani e il contrabbando di carburante”.

In sintesi le Parti si impegnano a:

  • sorvegliare il confine meridionale della Libia (art. 2), punto focale di transito per i migranti dell’Africa sub-sahariana
  • collaborare per il “sostegno alle istituzioni di sicurezza e militari (libiche) al fine di arginare i flussi di migranti illegali” (art. 1). In pratica, l’Italia si impegna a fornire “supporto tecnico e tecnologico” alla Guardia costiera libica
  • “adeguamento e finanziamento” di quelli che vengono definiti “centri di accoglienza” esistenti in Libia – e che sono, come evidenziato da diverse inchieste giornalistiche, veri e propri centri di detenzione dove la tortura e la privazione costituiscono la regola
  • “proporre, una visione di cooperazione euro-africana più completa e ampia, per eliminare le cause dell’immigrazione clandestina”.
  • finanziamento di non meglio precisati “programmi di sviluppo”.

Ora ad accordo rinnovato in sordina, si parla di modifiche da effettuare e si chiede al governo libico di discuterne. È già stata chiarita la disponibilità da parte dell’altra sponda del Mediterraneo ma a condizione di veder tutelati gli interessi libici.

Ovvero; poca disponibilità ad interferenze sul proprio territorio rispetto ai centri di detenzione, fondi maggiori per la cosiddetta Guardia costiera, eliminazione dell’intralcio delle Ong (dovranno chiedere il permesso a Tripoli prima di effettuare soccorsi), maggiori finanziamenti per il controllo dei propri confini.

Il rischio verso cui si va, dando per scontato che il governo Serraj regga fino alle rinviate elezioni nazionali, è quello di finanziare, come in Turchia, alcuni centri ben tenuti ma praticamente inutilizzati in cui la Libia rispetti i diritti umani.

Il probabile risultato sarà la scontata presenza in Libia di un numero maggiore di funzionari delle organizzazioni umanitarie internazionali che potranno muoversi soltanto seguendo le indicazioni (ordini) di chi governa il territorio come già accennato da un rapporto dell’Unhcr.

Un ultimo aspetto critico potrebbe essere quello

riguardante le “mutate condizioni” del contesto politico libico di riferimento che, in caso di caduta dell’establishment attuale, ai sensi del diritto internazionale potrebbe portare ad una risoluzione dell’accordo stesso.

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