Belfast – «L’Esercito Repubblicano Irlandese (Ira), pur con diverse correnti e denominazioni, esiste ancora. Sono operativi e hanno capacità organizzative e militari». A parlare è il 57enne Frank Gill, un ex volontario dell'Ira negli anni duri del conflitto nordirlandese che ha trascorso 8 anni e 10 mesi imprigionato a Long Kesh, nello stesso periodo di Bobby Sands, il giovane repubblicano irlandese che morì il 5 maggio del 1981 dopo 66 giorni di sciopero della fame iniziato per protestare contro le disumane condizioni in cui erano costretti a vivere i nazionalisti detenuti. La maggiore formazione repubblicana ancora armata è la New Ira, un gruppo formato nel 2012 unendo diverse realtà paramilitari che operano ancora. «Attualmente non sono particolarmente attivi perché sono molto controllati dai servizi inglesi, ma solo a Belfast ci sono tra i 200 e i 500 volontari che sono in grado di progettare diverse operazioni».
Questi gruppi hanno l’appoggio della popolazione irlandese?
No, non godono dell’appoggio della popolazione. Vengono sostenuti dal 32 County Sovereignty Movement (Movimento per la sovranità delle 32 Contee, ndr), da diversi vecchi repubblicani delusi dallo Sinn Fèin (diventato ora il secondo partito del Nord Irlanda, ndr) e da alcuni giovani che hanno vissuto il momento di transizione dopo l’accordo del Venerdì santo (Good Friday Agreement) del 10 aprile del 1998.
Vengono considerati pericolosi per il processo di pace?
No. Come dicevo prima, sono molto controllati e non hanno l’appoggio della popolazione.
Lei ha contatti con l’Ira?
Non ho più contatti con nessuno che fa parte di gruppi armati. E se li avessi non starei qui a parlare con lei davanti ad un registratore. Io sono un fiero nazionalista repubblicano che, pur non facendone ufficialmente parte, ora vota Sinn Fèin.
Facciamo un passo indietro. Quando è entrato nell’Ira?
Sono entrato a far parte dell’Ira, nell’ala nazionalista della Provisional Irish Republican Army (Pira), nel 1976, quando avevo 19 anni. Prima di entrare nell'Ira ho fatto parte del movimento giovanile dello Sinn Fèin.
Quali sono state le motivazioni che l’hanno spinta a fare una scelta del genere?
Mio padre è stato arrestato nel 1973 e questo è stato uno dei motivi per cui io ho fatto questa scelta. In quegli anni era in atto l’internamento senza processo: interi gruppi di repubblicani venivano incarcerati senza motivo. Poi venivano portati nel centro degli interrogatori di Castle Reagh dove venivano torturati. Arruolarmi nell’Ira era l’unico modo per combattere gli oppressori inglesi e le ingiustizie di cui eravamo quotidianamente vittime.
Era consapevole di quello che stava facendo?
Quando mi sono unito all'Ira mi hanno detto molto chiaramente che potevo essere arrestato e anche ucciso. Io ne ero perfettamente consapevole. Ma non vedevo altra scelta che imbracciare le armi e lottare.
Che ruolo aveva nell’Ira?
Io facevo parte del 3° Battaglione della West Belfast Brigade. Inizialmente la mia unità, che era composta da cinque persone, aveva il compito di esplorare il territorio e individuare obiettivi britannici da colpire. In quella fase dell’offensiva volevamo colpire non solo obiettivi militari ma anche economici. Bisognava rendere ingovernabile l’Irlanda del Nord. Poi ho iniziato a fabbricare bombe per le azioni militari e dimostrative.
La sua prima azione importante?
Avevamo fatto degli appostamenti per settimane ad una abitazione sopra ad un negozio di fiori in Lisburn Road, a Belfast e avevamo scoperto che l’abitazione serviva alle truppe britanniche come appoggio per spiarci. Abbiamo dunque deciso di colpirlo.
In che modo?
Siamo entrati nel negozio e ci siamo subito presentati: siamo l’Ira, uscite tutti. Mi ricordo che uno dei commessi provò ad opporsi cercando di bloccare uno di noi che stava sistemando il timer alla bomba. Gli abbiamo spiegato che stavamo facendo sul serio e che doveva subito allontanarsi. L’operazione è andata in porto, il negozio e l’appartamento sopra sono saltati. E’ stata un’azione di avvertimento per i britannici, non è morto nessuno nell’esplosione.
Che esplosivi utilizzavate?
Quella bomba l’avevamo preparata noi: quattro libbre (quasi due kg, ndr) di gelignite e due taniche di benzina, più il timer. Usavamo la gelignite perché era molto facile da lavorare e da reperite. Era una piccola bomba, io ero in grado di farle anche molto più potenti.
Dove trovavate la gelignite?
Non era un mio compito reperire l’esplosivo. Un’altra unità ci portava il materiale che ci serviva e noi lo lavoravamo. Per costruire una bomba bisogna calcolare tutto al millesimo. I componenti vanno assemblati perfettamente in modo da far fare il massimo danno.
In quel periodo l’Ira aveva collegamenti con altri eserciti di liberazione nel mondo?
Quando sono entrato io nell'Ira non c’era nessun collegamento diretto con altri gruppi paramilitari, anche perché noi lottavamo per il nostro Paese e non eravamo certo inquadrati per una rivoluzione internazionale. Ma ovviamente eravamo solidali con tutti quelli che lottavano contro gli oppressori, in particolar modo con i palestinesi e i baschi.
Quando è stato arrestato? E perché?
L’azione per cui sono stato arrestato nel 1978 era molto più importante: dovevamo intercettare e far esplodere una pattuglia dell’esercito inglese che stava venendo dall’aeroporto e che sarebbe passata per Gleann Road. Con il mio commando abbiamo piazzato la bomba ma ci siamo subito accorti che c’era un gran movimento. L’intelligence britannica ci aveva scoperto e un elicottero stava volando sopra di noi. Una pattuglia di soldati inglesi ci ha fermato mentre eravamo in macchina e ci stavamo allontanando. Nella macchina hanno trovato una pistola e così sono stato arrestato. Mi hanno interrogato per due giorni ininterrottamente e poi sono stato trasferito nel carcere di Long Kesh con l’accusa di tentata strage, cospirazione contro il governo britannico e vari altri reati minori, come il possesso di arma da fuoco. Sono stato condannato a 8 anni e 10 mesi.
Come era la vita nel carcere?
La vita carceraria era molto dura. Però c’era molto cameratismo: eravamo molto uniti tra noi repubblicani e avevamo uno spirito solidaristico molto forte. Vivevamo separati dagli altri prigionieri anche se ancora non eravamo considerati prigionieri politici. Diritto che abbiamo poi ottenuto grazie agli scioperi della fame fatti da Babby Sands e dagli altri compagni di lotta.
Lei non ha partecipato allo sciopero della fame?
Nel braccio dove eravamo detenuti noi lo abbiamo fatto per tre giorni: un atto simbolico e di solidarietà verso chi lo stava facendo. Quando abbiamo saputo che alcuni nostri camerati erano morti è stato un momento di grande tristezza per tutti noi ma ci sentivamo, stranamente, anche molto più forti. Dentro di noi sapevamo che un giorno, prima o poi, avremmo vinto.
Quando è uscito dal carcere?
Sono uscito nel 1986 e fuori non era cambiato nulla, l’esercito britannico era ancora nelle nostre strade. Ma per me è stato impossibile riprendere i contatti con i miei vecchi compagni di lotta, ero molto controllato dagli inglesi. Così ho deciso di andarmene, prima sono stato a Londra e poi negli Stati Uniti. Sono rientrato a Belfast nel 1995.
La situazione al suo ritorno era cambiata?
Si, quando sono tornato era tutto cambiato e il processo di pace muoveva i primi passi. Tanti miei camerati di un tempo erano confluiti nello Sinn Fèin ed erano molto ottimisti per il futuro.
Vuole ancora un’Irlanda libera?
Il mio desiderio più grande non è certo cambiato: voglio il mio Paese indipendente e fatto da 32 contee unite. Ma ancora più importante è la pace, anche perché ora la situazione è molto diversa da quella per cui noi abbiamo combattuto.
Trent’anni di guerra e di odio sono stati troppi e ancora paghiamo le conseguenze. Il mio popolo dovrebbe crescere nell’orgoglio di essere irlandese e non consumarsi in un carcere o morire.Fabio Polese
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