Le stragi sono indiscriminate, non distinguono affatto tra cristiani, musulmani ed ebrei. Non c'è un calcolo di tipo religioso dietro gli assassinii che portano il nome del sedicente Stato islamico, ma la volontà di arrivare alla realizzazione di un'ideale passando sopra a chiunque vi si opponga.
Lo sanno bene i leader dei Paesi che sono più direttamente toccati dal problema. È così per il re di Giordania, Abdallah, ad esempio, a capo di un Paese che deve confrontarsi con i numeri senza precedenti dei rifugiati in arrivo dalla Siria, ma che finora è rimasto sostanzialmente al riparo dalla minaccia - pur vicina - dell'Isis.
Grandi attentati in Giordania non ce ne sono ancora stati. Eppure la monarchia hashemita ha perso uno dei suoi uomini, il pilota Muadh al-Kasasbeh, arso vivo dai jihadisti in uno dei video più scabrosi realizziti fino ad ora dalla propaganda dell'Isis.
Abdallah - lo ha detto in una conferenza stampa a Pristina, in Kosovo, dove si trova in visita ufficiale - parla di "centomila musulmani uccisi dall'Isis negli ultimi due anni". Non è così chiaro da dove arrivino i dati, ma sono ad esempio più di duecentomila le vittime del conflitto in atto in Siria, dove tuttavia non è solo l'Isis, né solamente il jihadismo, a fare vittime.
Le parole di Abdallah, tuttavia, dicono chiaramente una cosa: nessun musulmano è al riparo dalla furia degli estremisti, che puntano a imporre la propria concezione della
religione e del mondo e non si sono mai fatti né si faranno problemi di alcun tipo per implementarla. È una "guerra interna all'islam", dice. Ma anche "una Terza guerra mondiale contro l'umanità". "Ed è questo ciò che ci unisce".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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