Gerusalemme - È Pasqua di terrore. Ieri l'orribile fantasma si è presentato di nuovo, stavolta ai confini, in Egitto, Netanyahu ha subito condannato la strage di cristiani copti, e promesso, come già avviene, un'alleanza contro il terrore. Gli attacchi sono avvenuti proprio negli ultimi momenti delle preparazioni per la serata dell'apertura della Pasqua ebraica che comincia stasera e che per una settimana intera ricorda, cancellando il cibo normale dalla mensa, la fuga degli ebrei dall'Egitto. Stavolta sono stati gli egiziani a pagare il prezzo dell'odio islamista: dal Sinai è stato facile per l'Isis passare alle città dove il boccone dei civili è più tenero e più facile, specie quando si tratta di cristiani copti. I copti sono forse i più antichi cristiani del mondo e tale è diventata l'abitudine a vederli perseguitati e massacrati (come nel dicembre, quando donne e bambini furono fatti a pezzi in una chiesa del Cairo).
L'odio terrorista per i copti non fa notizia, c'è un'abitudine collaborazionista, come per l'omicidio sistematico di mezzo milione di sunniti da parte di Assad e, naturalmente, per il terrorismo in Israele. Un esempio: durante le ore in cui tutto il mondo insorgeva per l'attacco che a Stoccolma ha fatto 4 morti, nell'West Bank un'auto guidata da un terrorista palestinese si è lanciata su due giovani soldati: Elchai Teharlev, 20 anni, che stava portando il caffè ai suoi compagni, è stato ucciso, e un altro ragazzo è stato ferito. Sabato scorso un ufficiale di polizia e due civili sono stati attaccati con un coltello a Gerusalemme. In queste ore si avverte la popolazione, laconicamente, che i giorni di Pasqua sono una leccornia speciale, sia gli ebrei sia i cristiani sono in pericolo, le forze dell'ordine sono mobilitate, l'ingresso dall'Autonomia Palestinese bloccata.
Si è avuto sentore sui giornali italiani degli attacchi a Gerusalemme? Niente affatto: Israele, in questa Pasqua di libertà per l'ennesima volta si trova solo. In questo Paese che è il numero 11 nell'elenco dell'Onu che studia la soddisfazione di popoli (gli americani sono il numero 14) si combatte, dalla nascita, un'immane lotta di sopravvivenza dal terrorismo e la gioia per l'incredibile avventura della costruzione dello Stato ebraico, che fa di questo Paese l'episodio più felice della vita del popolo ebraico da quando, nel 70 dopo Cristo con la distruzione di Gerusalemme, iniziarono la diaspora e le persecuzioni in tutto il mondo. È un'avventura miracolosa: in Israele un incredibile 44,4% della popolazione è stato vittima o ha parenti e amici vittime di attacchi terroristici nei primi 19 mesi della seconda Intifada. Ma se nel 2002, nel mezzo di quella fase, il 92% disse di aver paura per sé o per la propria famiglia, il 76,6% disse che «comunque sapremmo cosa fare» e il 78,2 che «ci sarà sempre qualcuno intorno pronto ad aiutarmi in caso di difficoltà».
È vero: il senso di solidarietà e la quieta percezione del terrorismo non come di un episodio casuale e episodico ma qualcosa a cui essere sempre fisicamente e moralmente preparati, è un risultato di settant'anni di assedio terrorista e un esempio per tutti Paesi che cominciano purtroppo a sorseggiare questo amaro calice. I confini di Israele sono nel corso di questa Pasqua ancora più elettrici del solito, i terroristi sul confine egiziano, fra cui Hamas, hanno visto avanzare una stagione molto pericolosa quando Trump ha stretto la mano a al Sisi e a Adbullah di Giordania, e hanno subito risposto. Assad dopo l'attacco ai suoi Sukoy ha ora un atteggiamento imprevedibile, non a caso in queste ore i confini del Golan sono stati rafforzati, e certamente gli Hezbollah sono agitati. Nelle loro mani i 100mila missili puntati su Israele, mentre al sud Hamas tiene la popolazione civile sotto tiro.
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