Era l'8 agosto del 2010, una domenica. Due imbianchini, come raccontato anche da Altaveu, vennero chiamati al quinto piano del numero 40 di via Fiter i Rossell, ad Andorra, per dei lavori. Ad un certo punto, la proprietaria dell'appartamento chiese loro di spostare una borsa pesante, ma i due uomini si resero conto di qualcosa di strano: il pacco conteneva un cadavere. La polizia avrebbe scoperto così l'omicidio consumatosi undici anni fa, per cui la moglie della vittima, Montserrat Gimeno, è stata condannata a una pena di 20 anni di carcere. Ma ora, la donna si professa innocente e svela, in una lettera inviata a ilGiornale.it, uno scenario diverso da quello contenuto nelle carte dei processi e delle sentenze.
L'omicidio
José Alfonso Gimenez aveva 41 anni, quando venne ritrovato morto. Aveva deciso di restare per qualche tempo ancora a casa, per aiutare la moglie reduce di un intervento alla spalla, ma era probabilmente convinto a lasciarla. Secondo i racconti fatti all'epoca dai giornali che seguirono il processo, "l'opposizione alla separazione e la vendetta sono stati i due elementi principali" che avrebbero spinto Montserrat Gimeno ad agire. Prima, la donna avrebbe colpito il marito sulla testa, con un manubrio con cui effettuava alcuni esercizi di riabilitazione, e poi gli avrebbe inferto decine di coltellate, alcune delle quali recisero la giugulare, portando alla morte.
La sentenza di condanna, riportata da Altaveu, ricorda che il cadavere era stato avvolto "con un totale di sei sacchetti di plastica nera distribuiti tre a tre, tre dalla testa alla vita e tre dai piedi alla vita, uniti al centro e rinforzati ai lati con nastro adesivo". Dopo aver avvolto in questo modo il corpo del marito, si legge nel testo della sentenza, "l'imputato trasferì il pacco su un carrello pieghevole in alluminio a forma di L, a base quadrata e situato nella sala da pranzo" e nascosto in mezzo ad altre borse. Il giorno dopo, la donna chiamò due imbianchini perché effettuassero dei lavori e chiese loro, stando alla sentenza visionata da ilGiornale.it, un aiuto "per trasportare due borse, una grande e una piccola che si trovavano su un carrello, nel bagagliaio del suo veicolo", specificando di fare attenzione al contenuto, presentato come una scultura di cartapesta a forma di persona. A causa del peso della borsa, uno dei lavoratori decise di trascinarla a terra, notando "una macchia di liquido rosso che ha sporcato il pavimento" e poco dopo del liquido dello stesso colore iniziò ad uscire dal sacco. Per questo, sospettando un cadavere, una volta usciti dalla casa, i due imbianchini si recarono in un punto di polizia a sporgere denuncia. Quando le forze dell'ordine entrarono nell'appartamento, trovarono "il corpo senza vita del marito, che mostrava segni di estrema violenza", raccontarono al tempo i Diari d'Andorra. In una delle stanze, inoltre, giaceva anche la donna, 52 anni, che aveva ingerito dei farmaci, forse nel tentativo di suicidarsi. L'uomo era morto, mentre la moglie venne trasportata in ospedale e poi accusata dell'omicidio del marito.
La lettera: "Coprivo il crimine di mia figlia"
La donna venne ritenuta colpevole e condannata a 20 anni di carcere e all'espulsione dal principato di Andorra per i successivi 20 anni. Ma ora, dopo 10 anni passati in galera, Montserrat Gimeno ha raccontato un'altra verità, dichiarando di non aver ucciso il marito e chiedendo che il suo caso venga riaperto. "Nonostante la mia innocenza, ho accettato la sentenza a 20 anni di carcere per un omicidio che non ho commesso, col solo scopo di coprire il crimine di mia figlia", scrive la donna in una lettera arrivata a ilGiornale.it e il cui contenuto è stato confermato anche dal legale che segue la sua causa. Nella missiva inviata dalla donna condannata vengono elencati una serie di motivi per i quali sarebbe stato impossibile per lei uccidere il marito: innanzitutto, spiega, "non potevo usare il braccio sinistro per una recente operazione chirurguca" e, inoltre, "mio marito era molto più forte di me", dato che praticava arti marziali e boxe. Non solo. I giudici non avrebbero preso in considerazione alcuni elementi importanti: per esempio, "nel corso del processo non sono emerse evidenze del fatto che avevo organizzato il crimine", così come sembra non sia stato appurato se i resti biologici presenti sul corpo della vittima e sulla scena del crimine appartenessero alla condannata o meno. Inoltre, "non venne effettuato nessun esame con lo scopo di verificare se mia figlia avesse graffi o colpi compatibili con la lotta che è stata dimostrata aver avuto luogo prima della morte". Infine, "non è stata fatta alcuna indagine con lo scopo di identificare una terza persona presente sulla scena del crimine, nonostante ci fosse un'evidenza".
La richiesta di revisione
Montserrat Gimeno si trova in carcere da 10 anni, pur definendosi innocente: ha dichiarato di aver inizialmente accettato la sentenza di condanna per coprire il crimine che avrebbe commesso sua figlia. Ma "ogni cosa è cambiata radicalmente dopo 10 anni di carcere", rivela la donna, quando ha chiesto l'aiuto di un avvocato "e lui mi ha informato che mia figlia e mio marito avevano una relazione incestuosa senza che io ne fossi a conoscenza". Il legale, sentito da ilGiornale.it, ha confermato di essere stato contattato dalla signora Gimeno: "Dopo aver studiato il suo fascicolo l'abbiamo informata che, con tutta probabilità, sua figlia ha avuto un rapporto sessuale incestuoso con suo padre", ha dichiarato l'avvocato. Ma riguardo all'omicidio, aggiunge, "anche la figlia della signora Gimeno ha il diritto di beneficiare della presunzione di innocenza".
A quel punto, la donna ha deciso di chiedere la revisione del processo, in quanto "non sussistono nel procedimento penale elementi atti a dimostrare che la signora Gimeno sia l'autore del reato", spiega l'avvocato, e "ci sono state importanti indagini che non sono state prese in considerazione per chiarire i fatti". Per questo, a gennaio del 2021, la donna ha presentato ricorso in Cassazione, precisando di non essere l'autore dell'omicidio e sostenendo che il caso dovesse essere riaperto, dato che non sarebbe stato rispettato il diritto alla presunzione di innocenza. Successivamente, esaurite le possibilità nei confronti delle autorità giudiziarie di Andorra, a inizio 2021 la Gimeno ha depositato una dichiarazione davanti alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU). Il giudice però ha respinto le richieste della donna: "Non emerge alcuna apparenza di violazione dei diritti e delle libertà sanciti dalla Convenzione", si legge nel testo della sentenza, che precisa anche la mancanza dei criteri di amissibilità. Respinta quindi anche la richiesta effettuata alla CEDU, che conserverà il fascicolo solamente per un anno, dopodiché verrà distrutto.
Alla luce delle considerazioni raccolte dalla difesa, precisa il legale, "la Gimeno vuole essere nuovamente giudicata e beneficiare di un procedimento paritario". E chiede la riapertura del processo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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